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Il 25 aprile e l’insostenibile emergenza

disoccupazione_giovanileA consultazioni ancora in corso per formare quello che il premier incaricato, Enrico Letta, ha definito un “governo di servizio al Paese”, non si possono non considerare la due velocità dell’Italia. Da un lato i tempi della politica, che tra veti e aperture, ha atteso oltre cinquanta giorni dal voto prima di giungere – si spera – ad una conclusione che sia costruttiva e condivisa. Dall’altro la crisi economica, che al contrario non si arresta. Tra le emergenze indicate da Letta al Quirinale, ottenuto l’incarico da Napolitano, figurano il lavoro e la crisi occupazionale che coinvolge per lo più i giovani. Neanche a farlo apposta, nella stessa giornata, l’Istat ha ricostruito le serie storiche trimestrali dal 1977 ad oggi da cui emerge un salto negativo tra i ragazzi nelle fascia di età 15-24 anni: dal 21,7% si è passati al 35,3% dei giovani disoccupati nel 2012.
Il 25 aprile consegna ancora una volta l’immagine di un’Italia frammentata. La situazione peggiore si rileva al Sud , dove la percentuale di persone senza impiego è aumentata dall’8 per cento del 1977 al 17,2 per cento dell’anno scorso. Il numero dei disoccupati è più che raddoppiato da un milione e 340 mila unità del 1977 a due milioni e 744 mila del 2012.
La condizione socioeconomica delle famiglie è peggiorata. Pur di risparmiare, molte persone rinunciano o rimandano visite specialistiche e analisi cliniche. Si sacrifica la propria salute a favore del nucleo familiare, che in alcuni casi si vede costretto a rinunciare persino all’acquisto di latte fresco, pasta o pane. Questa è la fotografia drammatica che abbiamo dell’Italia.
Scrivemmo lo scorso anno: “Il 25 aprile 1945 segnò la fine dell’occupazione nazifascista, rappresentò cioè uno spartiacque tra ciò che era stata e ciò che sarebbe divenuta in seguito l’Italia. Ad oggi non vi è alcun invasore da, eppure mai come adesso siamo al cospetto di una vigilia fondamentale. Questo 25 aprile può (ed è auspicabile che debba) dirimere nuovi margini di manovra, tracciare nuovi spazi in una fase di transizione che sinora ha diviso anziché unire. Ci siamo detti – ci hanno detto – che la crisi economica sarebbe potuta essere una grande opportunità, che da qui saremmo potuti ripartire e aspirare ad una vita e ad una società migliori. Ci si ritrova dopo qualche anno a fare i conti con tutt’altra situazione, tra antipolitica galoppante, senso di sfiducia e divari che potevano essere colmati (o almeno attenuati) e sui cui, invece, si è persa ogni occasione. Nord e Sud appaiono ora più distanti di quanto non fossero anni fa. Insomma, viene da chiederci, al cospetto di questo 25 aprile, se al netto di una crisi sistemica che ha investito l’Europa non sia anche un po’ responsabilità nostra e dei nostri atavici ritardi”.
Passano i mesi eppure i ragionamenti restano attuali di giorno in giorno. Non possiamo sapere cosa ci riserverà l’immediato futuro, ma possiamo immaginare che questa sarà l’ultima possibilità di rimettere le storture al loro posto. Non è la prima volta che viene detto, ma l’acclarata insostenibilità dell’emergenza rende la conclusione più veritiera che in passate occasioni.

 

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