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Il diario dal Festival di Cannes/8

di Giampiero Francesca

cannes_festivalÈ un clima ormai balneare quello che si respira in questi ultimi giorni su la croisette. Al posto delle lunghe file di cinefili accreditati giovani tipi di spiaggia in costume e asciugamano popolano i lidi della cittadina francese. La vita riprende a scorrere tranquilla e mansueta fra il mercatino e i negozietti, mentre i turisti vagano per le viuzze de le suquet alla ricerca di un ricordo di questa costa azzurra. Noi, imperterriti, invece continuiamo a seguire il nostro programma, di sala in sala, di film in film. Così, nonostante il rumore del mare ci chiami dalla vicina spiaggia, entriamo nuovamente nel Palais du cinema, per la proiezione del titanico La vie d’Adèle di Abdellatif Kechiche. Il regista, conosciuto al pubblico per il suo precedente Cous cous, approda al festival di Cannes con una pellicola fiume di tre ore, idealmente suddivisa in due capitoli ma presentata in un corpo solo. L’indagine antropologica di Kechiche, da sempre cardine della sua cinematografia, si posa qui sulla vita di Adèle, giovane donna alla scoperta dell’amore verso un’altra donna. Coinvolgente ed emozionante il racconto della prorompente passione saffica delle protagoniste, mostrata con dolcezza e partecipazione, sembra volare sugli animi degli spettatori, sospendendo il tempo.
Altra pellicola che vorrebbe esser dal grande impatto emotivo e dalla durata decisamente più contenuta è Grigris del regista dal Ciad Mahamat-Saleh Haroun. L’autore, che aveva sorpreso pubblico e critica con Daratt, si presenta al festival con un film che racconta le peripezie di uno straordinario ballerino con una gamba atrofizzata, costretto ad invischiarsi in grossi guai per raccogliere i soldi necessari per le cure del padre. Il risultato del lavoro di Haroun è però solo un compito ben eseguito, formalmente pulito, ma emotivamente assai poco coinvolgente. Non basta infatti la bravura del protagonista Souleymane Démé, il cui soprannome in scena da il titolo al film, a risollevare il tono di una pellicola decisamente al di sotto delle aspettative.
Usciti dalla proiezioni, guardando un red carpet ancora vuoto, abbiamo quasi la sensazione che il festival stesso si stia prendendo una piccola pausa, un momento di riposo prima del gran finale. Mancano infatti solo quattro film prima della chiusura di questa sessantaseiesima edizione, prima della cerimonia, delle palme, delle vittorie e delle sconfitte. Prima però che tutto ciò avvenga, proprio nel giorno che precederà i verdetti finali, i selezionatori hanno sistemato due delle pellicola più attese della manifestazione. Non ce ne vogliano infatti James Gray e Arnaud des Pallières, i cui film The immigrant e Micheal Kohlhaas verranno presentati domani, ma in questo clima di calma apparente il pensiero corre già al ritorno di Jim Jarmush e, soprattutto, di Roman Polanski, dato per favorito proprio per la palma d’oro.

 

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