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La stretta di Cameron contro la pornografia online

david_cameronQuella del premier britannico David Cameron contro la pornografia online è una vera e propria crociata. L’idea è di incentivare i maggiori motori di ricerca (Google, Bing, Yahoo!) a bloccare il traffico verso siti porno. C’è anche l’intenzione, così facendo, di stroncare il fenomeno della pedofilia online. Il riferimento è anche ai recenti fatti di cronaca, una piaga sociale senza dubbio. Tuttavia, posto che i motori di ricerca già adottano filtri particolari per ostacolare un certo tipo di accessi e che le leggi nazionali e comunitarie sono chiare (talvolta basterebbe saperle applicare), l’avvertimento di Cameron cela una preoccupazione ad ogni modo giustificata, senza per questo scadere nella retorica anti-censura. Secondo un’indagine diffusa circa un anno fa (i cui numeri è presumibile siano validi ancora oggi), l’età media del primo contatto con materiale pornografico avviene a 11 anni (dati OnlineMBA), ovvero un’età in cui si è in grado di navigare, sì, ma spesso non consapevolmente e correndo il rischio di imbattersi in cattive conoscenze.
Per quanto i motori di ricerca contrastino in taluni casi la possibilità di accedere a siti poco chiari o con contenuti a rischio, ogni giorno ne appaiono 266 di nuovi a luci rosse. E può capitare, almeno nel 34% dei casi, di finire su siti porno per sbaglio. Una ricerca apparentemente innocua può così reindirizzare verso contenuti di tutt’altro tenore, anche se poi l’indagine in questione rilevava come sex fosse la parola più cercata su internet. Il 12% dei siti internet risultano a sfondo pornografico, che potremmo in quantificare in circa 24 milioni. Ogni secondo (sì, avete letto bene) 28.258 persone stanno visionando un porno e in media vengono spesi, per la pornografia online, tremila dollari. Su una cosa, però, Cameron può rallegrarsi. Nel Regno Unito viene prodotto appena il 3% del porno, quando gli Stati Uniti occupano una fetta di mercato tale (oltreoceano sono 40 milioni i consumatori abituali) da rasentare una posizione di quasi monopolio (89% delle produzioni). Non ci si stupisca, insomma, se metà dei ricavi della pornografia online proviene dagli States.
Anche sul fronte dei download, si registra un discreto 35% contenente materiale porno. E tanto per non smentire categoricamente l’inquilino di Downing Street, le richieste online di questo tipo corrispondono al 25% del totale, pari cioè a 68 milioni di ricerche al giorno.

 

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