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Le bombe del 1993, venti anni dopo

di Antonio Caputo

strage_georgofiliRoma, venerdì 14 maggio: un’autobomba esplode, poco dopo le 21, in via Fauro, nel cuore dell’elegante quartiere Parioli, sventrando un palazzo e ferendo diverse persone, ma lasciando illeso l’obiettivo dell’attentato, Maurizio Costanzo, da poco uscito dal Teatro Parioli, in cui era solito registrare la sua trasmissione “Maurizio Costanzo Show”. Il conduttore era mirino di Cosa Nostra per il suo impegno antimafia, e l’autobomba avrebbe dovuto regolarne i conti un anno dopo l’assassinio di Giovanni Falcone.
Firenze, notte tra mercoledì 26 e giovedì 27 maggio: un’esplosione devasta la Torre del Pulci, in via dei Georgofili, distruggendo alcuni affreschi, estendendo le sue devastazioni anche alla vicinissima Galleria degli Uffizi, e, soprattutto, uccidendo l’intera famiglia Nencioni (la custode dell’Accademia dei Georgofili, marito e figlie), ed un giovane in un appartamento vicino.
Milano, notte tra martedì 27 e mercoledì 28 luglio: un’autobomba devasta la Galleria di Arte Moderna, nella centralissima via Palestro, uccidendo un poliziotto, tre vigili del fuoco ed un giovane immigrato che dormiva su una panchina.
Avvertito dell’esplosione di Milano, l’allora presidente del Consiglio, Ciampi, decide di convocare per l’indomani una riunione con gli esperti dell’ordine pubblico. Ma, pochi minuti dopo, viene avvisato dal suo portavoce, Peluffo (che era a cena in centro, e che dunque le avvertì distintamente), di altre due esplosioni: vengono sventrate la Chiesa di San Giorgio al Velabro, e soprattutto la Basilica di San Giovanni in Laterano, Cattedrale di Roma, con l’annesso appartamento dell’allora Cardinale Vicario, Camillo Ruini, in quei giorni fuori città. A quel punto Ciampi, preceduto dal suo portavoce, si reca a Palazzo Chigi, per anticipare la riunione coi responsabili dell’ordine pubblico, ma scopre che nessuno era stato avvertito del suo arrivo. In quella stessa, drammatica, notte, infatti, i telefoni della presidenza del Consiglio erano isolati, per un inspiegabile guasto: non fu neppure possibile, da parte di Ciampi, parlare col presidente della Repubblica, Scalfaro, se non tramite la batteria telefonica del Viminale. Tre attentati quasi contemporanei, ed il contestuale isolamento, per quasi tre ore, della presidenza del Consiglio fecero temere il peggio: Ciampi pregò Peluffo di chiamare i cronisti politici dei principali giornali, per farli accorrere a Palazzo Chigi, quasi a volerli chiamare come testimoni di possibili ulteriori nefasti sviluppi notturni (“Chi sa dove ci porteranno stanotte” disse il premier al suo collaboratore).
Dalle indagini e dai processi, la responsabilità per le bombe del 1993 viene ricondotta a Cosa Nostra: la mafia siciliana esercitava, in tal modo, una doppia pressione; sullo Stato, con l’obiettivo di addolcire tanto il regime speciale del carcere duro (il 41 bis), quanto la normativa su sequestro e confisca dei beni per i mafiosi; e sulla Chiesa, in reazione al discorso, durissimo, contro la mafia, di Giovanni Paolo II ad Agrigento, qualche settimana prima (“Lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!”).
Ma fu soltanto mafia? L’allora ministro dell’Interno, Mancino, espresse la sua preoccupazione per la possibilità di “involuzioni autoritarie dinanzi alla crisi del sistema” (si era in piena tangentopoli, ed i partiti – soprattutto di maggioranza – erano al collasso, in un momento, tanto per cambiare, assai duro dal punto di vista economico, tra recessione, scarsa tenuta dei conti pubblici e forti difficoltà della Lira sui mercati) chiamando in causa criminalità organizzata e spezzoni deviati dei servizi segreti. In un colloquio con Bruno Vespa, l’allora capo della Polizia, Vincenzo Parisi, richiesto dal giornalista di un parallelo con le bombe degli anni di piombo, rispose: “Quelle” (degli anni ’70-’80, ndr.) “stabilizzavano. Queste mi preoccupano di più”.
L’ex premier Bettino Craxi, allora in disgrazia per tangentopoli, fornì un’altra versione sugli attentati, riferendo notizie a sua volta avute de relato. Pochi giorni dopo le bombe di Roma e Milano, nel suo discorso alla Camera, Craxi disse di aspettarsi altri attentati, parlando di “mano invisibile che punta ad esasperare tutti i fattori di rottura”. Significava, secondo le fonti di seconda mano in suo possesso, che le bombe (soprattutto quelle di fine luglio) furono messe (servizi segreti deviati? Craxi non lo specificò) per compattare l’opinione pubblica dietro le inchieste giudiziarie. La fiducia dei cittadini nella magistratura, elevatissima sin dagli inizi di Mani Pulite, era stata un po’ scossa, infatti, dai metodi, durissimi, usati dai procuratori della Repubblica, cosa che, proprio in quei giorni, aveva portato al suicidio due imputati eccellenti: l’ex presidente dell’Eni, Gabriele Cagliari, ed il patron della Ferruzzi, Raul Gardini. Infatti, ai funerali della strage di via Palestro, a Milano, la folla inferocita investì nella sua contestazione le autorità dello Stato, con l’unica eccezione del capo del Pool Mani Pulite, Francesco Saverio Borrelli.
Quale che fosse la versione giusta, in ogni caso si trattava di uno scenario inquietante, al cui mosaico (come per le stragi del 1992 in cui morirono Falcone e Borsellino, e come per tanti altri misteri italiani) non tutte le tessere sono state apposte.
La situazione di oggi, nell’odierno quadro di fondo, presenta analogie con allora (profonda crisi economica, politica e morale, una crisi di sistema come venti anni fa) ma anche differenze (le mafie hanno cambiato pelle e strategia: si sono di molto ridotti i fatti di sangue, e non fa parte dell’attuale strategia di Cosa Nostra, camorra e ’ndrangheta, ricorrere alle stragi, ma ciò non significa affatto, come ricorda Roberto Saviano, che le organizzazioni criminali siano più deboli, anzi, la loro infiltrazione nell’economia, anche finanziaria, specialmente al Nord è, purtroppo, assai pesante).
Dalle parole di Parisi, Craxi e Mancino si è visto come, fossero gli anni ’70, ’80 o ’90, dinanzi ad una crisi di sistema, c’è il rischio di risposte eversive, anche da parte di organi deviati dello Stato. C’è da sperare che l’analoga situazione odierna non produca conseguenze simili, tanto più che oggi, ben più che negli anni di piombo, o che durante tangentopoli, c’è il rischio (come hanno paventato tre esponenti dei tre maggiori partiti, il guru grillino Casaleggio, il ministro Pd, Delrio ed il governatore Pdl della Campania Caldoro) di rivolte sociali.

 

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