L’ultima spiaggia
Leggendo le notizie sembra di capire che sia finita anche la fantasia, tra i banchi parlamentari: l’idea di vendere le spiagge non è una novità ma colpisce per la sua miopia e l’assenza di lungimiranza. La soluzione per trovare una via d’uscita dalla crisi e ridurre il deficit è sempre quella più semplice, che implica minori rischi per chi deve sopravvivere a un ciclo elettorale ormai ridotto a pochi mesi.
Che si tratti di vendere spiagge o proporre condoni e sanatorie cambia ben poco: è l’idea di fondo che sia possibile scambiare beni comuni, che appartengono alla collettività, con entrate di cassa, solitamente poche e incerte.
Nel caso delle spiagge si tocca poi il fondo perché, dal punto di vista territoriale e ambientale si tratta degli ecosistemi a maggiore vulnerabilità, soggetti a erosione e a modificazioni che sono accentuate dai cambiamenti climatici. Aree dove sarebbe necessario un impegno maggiore, in termini di conservazione e di gestione, tutelando queste zone sensibili dalle pressioni antropiche e salvaguardandone gli equilibri e le funzioni ecologiche.
Si preferisce, piuttosto, restare ancorati all’idea che la spiaggia sia solo una distesa di sabbia dove piantare ombrelloni e costruire ristoranti, rinunciando a una concezione di paesaggio e di integrità dei luoghi che rappresenterebbe, in un altro mondo, l’idea di fondo per promuovere lo sviluppo e il turismo.
In Francia, per esempio, è stata creata, da molto tempo, un’istituzione pubblica, il Conservatoire du littoral che ha, come scopo, proprio la funzione di acquisire, gestire e tutelare tratti di costa, proteggendoli dai rischi e rendendoli disponibili per la fruizione, per la ricerca scientifica, per la valorizzazione turistica: oggi sono più di 150mila gli ettari di litorale gestiti in questo modo in Francia.
Questo accade perché, in Francia, come in altri paesi, si considera la gestione integrata delle zone costiere una priorità, per realizzare una politica del territorio basata sulla tutela e sulla prevenzione dei rischi.
Altro che green economy! L’Italia continua lungo una strada che è piena di slogan e dichiarazioni di principio ma che, alla fine, rimane bloccata in una logica di breve periodo, dove la capacità di leggere le trasformazioni in atto è limitata all’aspetto monetizzabile, senza alcuna prospettiva né capacità di visione.
Si continua a ritenere che la politica, quella che dovrebbe guidare e dare le prospettive per il futuro, vada fatta con i cavilli e gli emendamenti – un emendamento infilato tra altri 3mila – che modificano e introducono norme che poi generano distorsioni e incertezza.
Dopo aver ascoltato ministri che affermarono “con la cultura non si mangia” è normale vedere proposte come le spiagge in vendita: peccato che, in questo modo, la Grecia si avvicini sempre più alle nostre coste.