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I problemi con l’Italicum

di Antonio Caputo

elezioniTorna in Aula alla Camera, questa settimana, la proposta di riforma elettorale; riforma resa necessaria dalla sentenza della Corte Costituzionale che ha bocciato il Porcellum. Inutile ripercorrere le tappe del percorso che ha portato all’accordo Renzi – Berlusconi: il segretario Pd aveva invitato anche Grillo, il quale si è autoescluso dalla partita, rinviando al consueto referendum on line (di una piccola minoranza) della base l’ufficializzazione della posizione 5 Stelle; a seguito di ciò, altro non è rimasto al sindaco di Firenze che accordarsi col Cav.
I punti dell’intesa sono noti: assegnazione nazionale dei seggi, dapprima alle coalizioni e poi al loro interno, ai partiti che abbiano superato gli sbarramenti; soglie di accesso ai seggi piuttosto alte, e differenziate, tra partiti coalizzati (4,5%), liste singole (8%), e coalizioni (12%, ma in caso di mancato raggiungimento, ripescaggio della lista che al suo interno abbia raggiunto l’8% – quota per chi corre da solo-), con la clausola “salva-Lega” (il 9% in tre Regioni, per chi si presenti in non più di 7 Regioni); “premio” di maggioranza del 55% allo schieramento (coalizione o lista singola) vincente, condizionato al raggiungimento del 37% e, in caso di mancato raggiungimento, ballottaggio tra i primi due schieramenti, il cui vincitore intascherà un “premio” minore, il 53%; elezione dei candidati in liste bloccate “corte” (da 3 a 6 candidati).
Il nuovo sistema, detto “Italicum”, è figlio, incattivito, del Porcellum; figlio, per le modalità di riparto dei seggi (premio di maggioranza; riparto nazionale, prima alle coalizioni, e poi al loro interno, ai partiti che superino gli sbarramenti; soglie differenziate di accesso ai seggi), incattivito, per esser tali sbarramenti più stringenti (soglia raddoppiata per le liste singole, dall’odierno 4 all’8%; più che raddoppiata per i partiti coalizzati: dal 2% con ripescaggio della migliore sotto il 2, al 4,5%; per le coalizioni, si sale dal 10 al 12%). Cambia poco insomma e quasi tutto in peggio.
Un grande statista come Alcide De Gasperi sostenne che era sbagliato cancellare, a colpi di legge elettorale, Socialdemocratici, Repubblicani e Liberali; purtroppo, invece, lo storico pallino di Silvio Berlusconi, il voler governare in solitudine, si è fatto strada anche a sinistra, contagiando il segretario Pd, Renzi (ma anche – qualche anno fa – Walter Veltroni, con la sua idea di “vocazione maggioritaria”): il loro accordo produce un sistema a forte rischio d’incostituzionalità (non una novità, quando c’è di mezzo il Cav.) e vediamo perché.
La Consulta ha motivato la bocciatura del Porcellum con le modalità di funzionamento del “premio” di maggioranza, che crea una disproporzionalità tra voti e seggi, sostenendo che tale disproporzionalità non possa essere esorbitante, e che per far scattare il “premio” si debba prevedere un quorum, una soglia minima, altrimenti, com’è avvenuto un anno fa, uno schieramento con meno del 30% dei voti otterrebbe il 55% dei seggi creando un’eccessiva disproporzionalità, costituzionalmente non tollerabile.
Detto problema non è risolto, ma solo aggirato: la soglia per far scattare il “premio” c’è (il 37% appunto) ma se nessuno schieramento la raggiunge, il ballottaggio assegna comunque il “premio” minore; il tutto -si sostiene- è ricalcato sul modello comunale. Non è così; la differenza rispetto ai ballottaggi comunali è duplice: 1) per l’elezione del sindaco al primo turno è richiesta la maggioranza assoluta, non il 37%; 2) è possibile, per le liste escluse dal secondo turno, apparentarsi con uno dei candidati sindaci in ballottaggio (aumentando la base elettorale della coalizione), possibilità esclusa dall’Italicum. In soldoni, lo schieramento che vince il ballottaggio dell’Italicum intascherà il “premio” con meno del 37% dei voti (non potendo allargare la coalizione con eventuali apparentamenti).
Ancora, nel Porcellum, una volta assegnati i seggi alle coalizioni, in seconda battuta il riparto tra i partiti nella coalizione era assai inclusivo; nell’Italicum, gli sbarramenti, molto stringenti, fanno sì che ad ottenere seggi siano solo le forze maggiori: i piccoli partiti sono cioè indispensabili a vincere, ma non spartiscono il premio, alla cui conquista concorrono in maniera determinante. Applicando l’Italicum al voto di un anno fa, si sarebbe andati al ballottaggio tra le coalizioni Bersani e Berlusconi; se al ballottaggio avesse vinto il primo, i 327 seggi li avrebbe presi il solo Pd, col 25,4%; se avesse vinto il Cav., il solo Pdl al 21,5% (la salva Lega non sarebbe scattata).
Senza contare che il ballottaggio, con pochissime eccezioni (es Milano), registra un consistente calo di votanti, che (spesso) si traduce nella partecipazione di una minoranza di elettori (come a Roma) oltre a comportare una maggiore spesa per l’allestimento di un secondo turno di voto, che neppure possiamo permetterci.
Le modalità di elezione dei candidati, infine: le liste bloccate non scompaiono (in sé non un male) ma vengono ridotte (come chiesto dalla Consulta); dati i seggi spettanti ad una Regione, il territorio viene suddiviso in collegi plurinominali (da 3 a 6 seggi per altrettanti candidati), ricavati accorpando gli ex collegi del Mattarellum (3 o 4 per comporre un collegio plurinominale Italicum). La suddivisione territoriale, in base alla bozza circolata, è fatta male, non tenendo conto dei legami territoriali, ma accorpando con “l’accetta” territori anche eterogenei.
Insomma una serie di difetti, che (se possibile) peggiorano il Porcellum; l’Italicum (oltretutto una proposta non nuovissima: era più o meno questo – doppio turno di coalizione -, il succo del “Patto della Crostata di casa Letta”, ai tempi della Bicamerale nel 1997; ed era una vecchia proposta di Craxi, rilanciata nel 1989 “il bipolarismo italiano veste i panni di Arlecchino: meglio una proporzionale corretta da sbarramento, a due turni con premio di maggioranza”), è figlio della fretta. Va bene decidere in velocità, soprattutto nella cronicamente lenta Italia, ma non si può maneggiare con fretta e superficialità una materia tanto delicata come la legge elettorale col rischio di inanellare pasticci e clamorosi autogol.
Il rischio di trovarci dinanzi ad una maggioranza del 53% (o del 55% in caso di vittoria al primo turno che i sondaggi non escludono affatto, soprattutto a causa dei riposizionamenti seguiti alla dissoluzione della galassia centrista) per un solo partito del 23 o del 31% e con le liste fatte tutte dal leader, è assolutamente concreto.

 

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