In cinque anni hanno chiuso 75.500 imprese artigiane
Negli ultimi cinque anni l’Italia ha perso 75.500 imprese artigiane. Gran parte di queste, 12 mila, hanno chiuso i battenti solo nell’area compresa tra il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e il Trentino Alto Adige, il cosidetto Triveneto. Solo in Veneto, tra il 2009 ed il 2013, sono venute a mancare 9.800 imprese artigiane, per una contrazione occupazionale pari ad almeno 28 mila unità. E’ quanto emerge dalla fotografia scattata dalla Cgia di Mestre che sottolinea come sia stato proprio l’artigianato il settore “più colpito dalla recessione che si è abbattuta in questi anni nel nostro Paese”. I comparti che hanno accusato più duramente il colpo sono quelli delle costruzioni, quello dei trasporti e quello del manifatturiero (metalmeccanica, tessile, abbigliamento e calzature).
Per Giuseppe Bartolussi, segretario della Cgia, le cause che hanno costretto gli artigiani a chiudere vanno cercate nella drastica riduzione dei consumi delle famiglie, nel forte aumento sia delle tasse sia del peso della burocrazia e nella la restrizione del credito. “Non potendo contare su nessun ammortizzatore sociale – spiega poi la Cgia -, dopo la chiusura dell’attività moltissimi artigiani non hanno trovato nessun altro impiego e sono andati ad ingrossare il numero dei senza lavoro, portandosi appresso i debiti accumulati in questi anni e un futuro tutto da inventare”.
Soffermandosi poi sugli ostacoli che la burocrazia pone sulla strada delle piccole e medie imprese, l’Associazione degli artigiani delle Pmi spiega che sono 97 le principali attività di controllo che gravano su esse.
Solo l’area dell’ambiente e della sicurezza nei luoghi di lavoro
è “interessata da 50 possibili controlli che possono essere effettuati da 11 Enti/Istituti diversi; il settore amministrativo registra sei controlli che sono ad appannaggio di tre diversi Enti/Istituti; quella della contrattualistica ha un numero di controlli pari a 18, mentre gli Enti/Istituti interessati sono quattro”. Veniamo poi al fisco: in questo ambito il numero dei controlli è pari a 23 e sono sette gli Enti/Istituti coinvolti.
“Con una legislazione spesso caotica e in molte circostanze addirittura indecifrabile – spiega il segretario della Cgia – per molte aziende, soprattutto quelle di piccola dimensione, è difficile essere sempre a norma. Ricordo che il 95% delle imprese italiane ha meno di 10 addetti e non dispone, a differenza delle medie e grandi aziende, di nessuna struttura tecnica/amministrativa in grado di affrontare professionalmente queste problematiche. I tempi e i costi della burocrazia sono diventati una patologia endemica che ci caratterizza negativamente. Non è un caso che molti investitori stranieri non vengano qui da noi proprio per la farraginosità del nostro sistema burocratico. Incomunicabilità, mancanza di trasparenza, incertezza dei tempi ed adempimenti onerosi hanno generato un velo di sfiducia tra imprese private e Pubblica amministrazione che non sarà facile eliminare”.