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Le prospettive europee dopo il voto

di Giampiero Francesca

unione_europeaIl grande exploit del Partito democratico e di Matteo Renzi alle ultime elezioni ha fatto passare in secondo piano il quadro generale nel quale si inserisce il voto italiano. Queste infatti erano e rimangono elezioni europee, che, guardando al contesto sovranazionale, hanno prodotto un risultato chiaro ma dalle prospettive incerte. Le grandi famiglie europee, infatti, mantengono il loro ruolo centrale seppur con un assetto leggermente più equilibrato rispetto a quanto era emerso dalle elezioni del 2009. Nonostante la debacle francese il PSE mantiene inalterata la sua compagine a Strasburgo (intorno ai 185 seggi), grazie anche al sorprendete risultato del PD (che con i suoi circa 30 seggi rappresenta il primo partito nel gruppo socialista e democratico). Dal canto suo il PPE, pur perdendo un considerevole numero di rappresentanti (circa 40), mantiene il primato nell’emiciclo europeo, con una nutrita presenza tedesca (la CDU rimane il gruppo con più seggi del parlamento europeo) che però, visto il risultato generale, dovrà necessariamente modificare i suoi piani. La gran parte dei seggi persi, infatti, sono confluiti nel variegato e frammentario mondo genericamente definito come “euroscettico”. La dispersione di questi eletti, divisi in partiti che poco o nulla hanno in comune, diminuisce la loro capacità di incidere realmente, consegnando, ancora una volta, nelle mani delle due grandi famiglie europee, il destino del vecchio continente e la responsabilità di eleggere la nuova Commissione. E’ proprio su questa partita che emergono però le prime incertezze. Jean Claude Juncker, candidato in pectore del PPE, potrebbe infatti non avere i numeri per ottenere la necessaria maggioranza. L’ex primo ministro lussemburghese, pur potendo contare sull’appoggio di una parte del Partito socialista europeo (su tutti dei francesi di François Hollande e degli austriaci di Werner Faymann) sconta la freddezza dimostratagli prorpio da una parte degli stessi popolari. Oltre all’ungherese Viktor Orban, anche esponenti di grande influenza come David Cameron, leader dei conservatori inglesi, e, in tono minore, Silvio Berlusconi hanno dimostrato di non approvare la candidatura di Juncker. A questo si aggiungono le dichiarazioni di Angela Merkel, ovviamente decisiva per l’esito finale, che ha affermato come si debba “guardare a una rosa più ampia di personalità adeguate”.
Restano così in campo le possibilità di un alleanza con i Verdi (rimasti sostanzialmente invariati con 55 seggi) e con i liberali dell’ALDE (che hanno subito un deciso ridimensionamento), mentre appare impossibile un allargamento verso l’estrema destra, viste le lapidarie dichiarazioni dello stesso Juncker: “Rifiuterei il mandato di presidente della Commissione se dipendesse dai voti dell’estrema destra”. Chiunque sarà il prossimo presidente della Commissione ciò che appare certo è la necessità di cambiare rotta, abbandonando, almeno in parte, le politiche di austerity imposte dalla Germania. Come ha sottolineato Martin Schulz, presidente dell’Europarlamento e candidato del PSE, più che i nomi di chi sarà eletto, “la prima priorità è la disoccupazione dei giovani, la seconda è la lotta all’evasione fiscale. Una maggioranza senza il Pse non è possibile. Noi cercheremo di costruire un maggioranza sulla base di questo programma”. Dichiarazioni che evidenziano un clima ben espresso anche da Mario Draghi che, presentando un documento congiunto fra BCE e Banca d’Inghilterra, ha evidenziato come, dopo i risultati delle elezioni europee, siano necessarie nuove politiche economiche che puntino alla crescita, al lavoro e al benessere.

 

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