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Gli effetti della liberalizzazione degli orari

spesa_consumi_famiglie“Un vero flop”. Confesercenti commenta così la liberalizzazione delle aperture del commercio, che rende – dal primo gennaio del 2012 – possibile l’apertura 24 ore al giorno di tutti i giorni dell’anno, festività incluse. Un giudizio durissimo, supportato da diversi dati. Questi: tra il 2012 e il 2013 il settore ha perso oltre 100 mila posti di lavoro (di cui 51 mila nel commercio al dettaglio) e registrato 28,5 miliardi di consumi in meno da parte delle famiglie. “I previsti effetti benefici sono tuttora non pervenuti”, commenta il segretario di Confesercenti Mauro Bussoni. E le statistiche sembrano dargli ragione. Emerge infatti che il saldo tra aperture/chiusure di imprese al commercio al dettaglio nei primi due anni di liberazione (2012-2013) è stato negativo: -38.773 di cui -4.587 tra gli “alimentari” e -34.186 nei “No food”. Trend negativo proseguito anche nei primi 5 mesi del 2014 con un saldo negativo pari a 12.189 unità (dati Osservatorio Confesercenti).
“La concentrazione dei consumi nei weekend – osserva Bussoni – ha favorito solo la grande distribuzione”. Grande distribuzione, che per mezzo di Federdistribuzione, riferisce dati diversi e sostiene come lo spostamento degli acquisti verso la Distribuzione Moderna Organizzata (DMO), iniziata da decenni, è stata ulteriormente favorita dalla difficile situazione economica del Paese che spinge le famiglie verso i punti di vendita nei quali può trovare maggiore convenienza.

Il parere (opposto) di Federdistribuzione
“La liberalizzazione degli orari – osservava solo qualche settimana fa Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione – ha consentito di distribuire più salari (stimiamo 400 milioni nella sola Distribuzione Moderna Organizzata – DMO); di creare nuova occupazione (4.200 nuovi posti di lavoro nella DMO) e di sostenere quella esistente”. A marzo 2014, il numero di imprese registrate era pari a 865.820, in calo solo di 754 unità (0,1%), rispetto al marzo del 2013 (Dati Movimprese). “E’ la crisi che sta avendo effetti sulle dinamiche del settore, non certo la liberalizzazione degli orari”, concludeva Gigli.
In uno studio del 2009, Federdistribuzione stimava che l’introduzione delle aperture domenicali avrebbe portato un aumento di quasi 4 miliardi dei consumi (+2%). “Previsioni – commenta Confesercenti – simili a quelle elaborate dal Governo”. Secondo il rapporto, le aperture domenicali ‘sistematiche’ avrebbero spostato i consumi dai giorni feriali alla domenica, durante la quale si totalizzerebbero il 16,5% delle vendite totali della settimana. In pratica oltre il doppio del 7% registrato che prevede l’apertura di domenica solo quando è necessario.

Il ddl del senatore Angelo Senaldi
Il senatore Angelo Senaldi del Partito democratico è relatore di un progetto di legge, approvato di recente dalla commissione attività produttive con il voto favorevole di tutte le forze politiche ad eccezione del Gruppo Misto, mentre Scelta Civica e Movimento 5 Stelle hanno preferito astenersi. Il ddl prevede 12 chiusure obbligatorie in corrispondenza delle festività nazionali, con il 50% delle stesse chiusure spostabili ad altra data dai Comuni. Tutto ciò con buona pace dell’Ocse, che nel rapporto Going for Growth diffuso nel febbraio scorso, ammetteva come la liberalizzazione degli orari dei negozi, introdotta dal governo Monti, rappresenta indubbiamente un “passo in avanti” verso un’economia più competitiva.

 

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