La crescita del calcio negli Stati Uniti
Seduto comodamente nella Conference Room dell’Air Force One, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama si godeva lo spettacolo: la nazionale statunitense che, nonostante la sconfitta con la Germania, conquistava l’accesso agli ottavi di finale della coppa del Mondo. “Ora abbiamo una possibilità di vincere il mondiale”, commentava alla fine dell’incontro. Una speranza che però è rimasta tale: gli Stati Uniti sarebbero usciti al turno successivo contro il Belgio. Una sconfitta che non è però destinata a spegnere l’entusiasmo del presidente statunitense e di molti suoi connazionali, sempre più disposti a seguire con interesse il calcio. Nonostante la giovane età della Major League Soccer, nata qualche anno dopo la fine – nel 1984 – della North American Soccer League (NASL) nella quale giocarono giocatori come Pelé, Franz Beckenbauer, Johan Cruyff, Giorgio Chinaglia e George Best. Il progetto, pensato nel 1988 per poter ottenere dalla FIFA l’organizzazione del mondiale del 1994, fu presentato il 17 ottobre del 1995 al Palladium di New York. La prima stagione in assoluto (quella del 1996, per l’appunto) vide la partecipazione di 10 squadre, salite nel frattempo a 19 (due di queste, Montreal Impact e Vancouver Whitecaps, sono canadesi) e che ora richiamano l’attenzione di un numero di tifosi notevole: la media spettatori a partita è di 18.600, circa 4.000 in più rispetto a dieci anni fa. Una performance trainata dai sostenitori dei Seattle Sounders, le cui partite casalinghe vengono seguite da una media di 44.038 spettatori. Tanto per farsi un’idea: nell’ultima stagione, la Serie A ha fatto registrare una media lievemente più alta: 23.282. Ma agli statunitensi il calcio – o meglio: il soccer – piace anche giocarlo. Tant’è che negli ultimi vent’anni il numero di giovani che giocano a calcio è raddoppiato (nel 1990 erano 1,6 milioni, nel 2012 erano 3 milioni), ma soprattutto è duplicato quello dei liceali, arrivato nel 2010 a 730.000 atleti.
Il futuro ‘roseo’ della MSL
Secondo uno studio di Rich Luker, sociologo dell’Università della North Carolina, citato qualche settimana fa dal Corriere della Sera, la MLS ha un enorme potenziale di crescita: 33 milioni di statunitensi si definiscono tifosi di calcio entusiasti, eppure di questi solo 7,2 sostengono un club. Mentre il calcio è lo sport preferito dal 14% dei giovani statunitensi d’età compresa tra i 12 e i 24 anni. Una passione incentivata dalla presenza di molti giocatori di livello internazionale che hanno calcato i campi da gioco statunitensi in passato, come David Beckham o Thierry Henry, e di quelli che si accingono a farlo come Sergio Aguero e Ricardo Kakà. Molto però è anche dovuto alla presenza di stadi moderni: quindici squadre hanno un impianto di proprietà e pensato specificatamente per il calcio (dieci anni fa, ve ne era uno soltanto). Ma gli statunitensi seguono le gare di calcio anche in televisione: la finale del mondiale sudafricano fu seguita da 24,3 milioni di statunitensi. Un record. Un seguito che non è passato inosservato neanche agli occhi delle grandi emittenti televisive, disposte – pur di trasmettere le gare del campionato – ad investire sempre più denaro. L’ultimo accordo per la cessione dei diritti televisivi è stato siglato a maggio per una cifra complessiva di 630 milioni di dollari, per la trasmissione delle partite di campionato su diverse piattaforme (ESPN, Fox Sports e Univision Deportes). Nel 2011, la lega aveva ceduti i diritti televisivi a Nbc Sports per una cifra di gran lunga inferiore: 35 milioni di dollari a stagione. L’attuale accordo prevede invece anche delle iniziative congiunte fra i tre network televisivi per dare un maggiore risalto alla MLS e scadrà nel 2022. Entro tale data, secondo l’obiettivo del commissario Don Garber, la lega potrà contare su un maggior numero di club: 24.