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In Italia pressione fiscale da record

pressione_fiscaleLa pressione fiscale in Italia porta le imprese a pagare all’erario 110,4 miliardi di euro all’anno. Solo le imprese tedesche pagano più delle nostre: precisamente 121 miliardi di euro all’anno. Tuttavia, spiega la Cgia di Mestre che ha svolto l’analisi, bisogna anche sottolineare che la Germania conta 20 milioni di abitanti in più rispetto all’Italia.
Tra il 1980 e il 2014 la pressione fiscale italiana è lievitata di 12,6 punti percentuali e si prevede, nel corso dell’anno, un ulteriore rialzo di 0,2 punti portando il dato al 44%, cifra record toccata già nel 2012.
L’Italia, con una fetta del 16%, rappresentato dalla percentuale delle tasse pagate dalle aziende sul totale del gettito fiscale, si posiziona al secondo posto della classifica europea: alle spalle solo del Lussemburgo, con il 17%. A seguire il nostro Paese sul podio troviamo l’Irlanda con il 12,3%.
La Germania riporta un 11,6%, il Regno Unito l’11,2% e la Francia il 10,3%. La media dell’Unione europea dei 15 si attesta invece all’11,3%.
Con un carico fiscale della portata di quello italiano, spiega il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi, “è difficile fare impresa e soprattutto creare le condizioni per far ripartire l’economia. Alle nostre imprese viene richiesto lo sforzo fiscale più pesante. Nonostante la giustizia sia poco efficiente, il credito sia concesso con il contagocce, la burocrazia abbia raggiunto livelli ormai insopportabili, la Pubblica amministrazione sia la peggiore pagatrice d’Europa e il sistema logistico-infrastrutturale registri dei ritardi spaventosi, la fedeltà fiscale delle nostre imprese è al top”.
Secondo Bortolussi le cause del record fiscale italiano sono da ricercare negli effetti “legati alla rivalutazione delle rendite finanziarie, all’aumento dell’Iva, che nel 2014 si distribuisce su tutto l’arco dell’anno, all’introduzione della Tasi e, soprattutto, all’inasprimento fiscale che graverà sulle banche, compensano abbondantemente il taglio dell’Irap e gli 80 euro lasciati in busta paga ai lavoratori dipendenti con redditi medio bassi”.

 

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