Il “bazooka” Bce contro la deflazione
Partiamo dalle cifre: 60 miliardi di euro al mese (1.140 miliardi tra oggi e settembre 2016, limite che verrà prorogato se gli obiettivi non verranno raggiunti) per acquistare, attraverso le banche centrali nazionali, i titoli di Stato, i titoli cartolarizzati e le obbligazioni bancarie garantite dei Paesi dell’Eurozona. In questo consiste il piano della Banca centrale europea che oggi prende il via. Con quale obiettivo? Riportare l’inflazione dell’Eurozona intorno al 2%.
È ormai qualche mese che l’area dell’euro è in deflazione, ovvero in una condizione in cui la crescita dei prezzi al consumo è inferiore allo zero. In poche parole i prezzi di beni e servizi calano del tutto, non rallentano la propria crescita come invece avviene in una fase di disinflazione.
A febbraio l’indice dei prezzi al consumo nell’area dell’euro si è attestato a -0,3%, rallentando lievemente dopo il -0,6% registrato a gennaio (seguito al -0,2% di dicembre).
A volte si commette l’errore di pensare che per l’economia di un Paese la deflazione sia un fattore positivo, una spinta verso i consumi, ma la realtà dei fatti è diversa. La deflazione, che deriva dalla debolezza della domanda di beni e servizi, in verità non fa altro che “alimentare” un circolo vizioso: i consumatori, vedendo scendere i prezzi, rinviano gli acquisti non indispensabili sperando in un’ulteriore discesa. Al contrario, con un’inflazione alta, la paura che i prezzi possano salire ancora porta i consumatori a fare subito i propri acquisti.
Entrare in deflazione è di solito una conseguenza di una fase economica che presenta lacune e difficoltà, dall’aumento del tasso di disoccupazione alla stagnazione (o contrazione) dei salari, circostanze che causano un crollo del potere d’acquisto e quindi della domanda di beni e servizi.
Le imprese, dal canto loro, in una situazione del genere, potrebbero vedersi costrette ad abbassare i prezzi di vendita e, per non compromettere i propri ricavi, anche i costi di produzione e le spese per gli investimenti. Costi di produzione più bassi significano meno ore lavorate e quindi, talvolta, anche meno lavoratori.
Anche il Pil nominale risente dell’andamento dell’inflazione, essendo la somma dei beni e dei servizi finali prodotti da un Paese: in base al prezzo corrente, in fase di deflazione scende.
Con un inflazione vicina al 2%, non superiore per non creare un nuovo crollo dei consumi, e non troppo inferiore così da scongiurare definitivamente il pericolo deflazione, i consumi riprenderebbero vigore, le imprese rinnalzerebbero i prezzi di vendita, riportando la produzione a livelli sostenibili, favorendo anche l’occupazione.
Ecco, dunque, che si spiegano le misure che la Bce adotterà a partire da oggi. Un’iniezione di liquidità, utile a far ripartire l’economia e a rendere le imprese più competitive, considerato il deprezzamento dell’euro (tra i primi effetti attesi del QE).
(articolo pubblicato il 9 marzo 2015 su Tgcom24)