Crisi economica: paesi emergenti in difficoltà
Molti tra i paesi cosiddetti emergenti sono riusciti in un momento di particolare incertezza economica, causa crisi, a beneficiare dei ritardi altrui per consolidare le proprie posizioni. Si è parlato spesso, infatti, dell’espansione dei paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), della crescita dell’America latina o dell’Africa sub-sahariana. Ma si tratta di un discorso valido ancora oggi?
Una prima risposta arriva dalla Banca mondiale, secondo cui i paesi in via di sviluppo stanno attraversando ora una fase di difficoltà derivante da un “rallentamento strutturale” che potrebbe durare anche anni. Questo mentre l’Europa mostra rinnovati segnali di vitalità e gli Stati Uniti frenano la corsa rispetto all’anno scorso.
In generale la Banca mondiale ha tagliato il Prodotto interno lordo a livello globale per il 2015, che dunque crescerà del 2,8%, vale a dire meno del 3% stimato a gennaio. L’Eurozona crescerà dell’1,5% (la crescita prevista era dell’1,3%), gli Stati Uniti dalle attese a +3,2% passano a +2,7% e i paesi in via di sviluppo, per l’appunto, cresceranno del 4,4%, lo 0,4% in meno.
Il contesto economico internazionale non è tanto positivo per quei paesi emergenti esportatori di materie prime a causa della riduzione dei prezzi. E comunque a subire di più il colpo sono quelle economie con prospettive di crescita più contenute e che presentano evidenti diseguaglianze. Non deve stupire, insomma, se al centro dell’agenda in discussione al vertice Ue-Celac (Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi) di queste ore ci sia proprio il tema dell’azzeramento delle diseguaglianze (più altre sfide come l’ambiente e i cambiamenti climatici).
Ogni paese e area di sviluppo fa storia a sé, ovviamente. Le economie emergenti sono cresciute in media del 6% dal 2000 al 2011. L’area dell’Africa sub-sahariana viaggiava ad una media storica del 4,4% (in alcuni casi anche del 5%), mentre le stime di quest’anno confidano in una crescita del 4%. Si tratta pur sempre di una prospettiva migliore rispetto alle attese per l’economia mondiale, ma il dato preoccupa soprattutto per via delle lacune strutturali – guerre, epidemie – che da sempre minano la stabilità sia economica che politica.
Diversa la situazione dei paesi Brics. La Cina ha rallentato la sua crescita, vero, ma tale flessione è “pilotata” da Pechino, e comunque viaggia su livelli superiori al 7%. Già nel 2014 l’economia cinese aveva registrato un +7,4% (la crescita più bassa degli ultimi 24 anni) contro il 7,7% del 2013. Chi va decisamente peggio è la Russia, che deve fare i conti con non poche questioni sfavorevoli, dal crollo del prezzo del petrolio alle sanzioni per la crisi ucraina. L’India, al contrario, cresce a ritmi elevati (si prevede del 7,5% nel 2015), mentre è il Brasile a soffrire maggiormente. Addirittura la sua economia dovrebbe chiudere l’anno in territorio negativo, con una contrazione dell’1,3%.
Il Messico, come l’India, viene considerato in questo momento più affidabile del Brasile per investire. Il Brasile è in sofferenza, come si è visto, mentre il Messico ha un’economia più stabile non avendo una stretta dipendenza dalle materie prime e la moneta debole permette comunque al paese di incentivare l’export, soprattutto verso gli Stati Uniti.
(articolo pubblicato l’11 giugno 2015 su Tgcom24)