Il crollo degli investimenti al Sud
Per rilanciare il Mezzogiorno è opportuno ripartire soprattutto dagli investimenti. Il governo, stando all’intervista a Repubblica del ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, sembra intenzionato a procedere in questo modo con lo stanziamento di oltre 80 miliardi di euro per rafforzare i poli industriali e le infrastrutture, “un nuovo modello di sviluppo che valga per i prossimi 15 anni”.
Il rapporto Svimez sul Sud d’Italia, quasi un grido d’allarme (Pil in calo da sette anni, crescita inferiore a quella della Grecia), è ora al centro del dibattito politico ed economico, avendo messo in evidenza i ritardi accumulati nel tempo, accresciuti poi negli anni della crisi.
Il crollo degli investimenti, tuttavia, è una variabile negativa che riguarda il paese intero, un autentico freno alla crescita. Secondo la Cgia di Mestre tra il 2007 ed il 2014 il dato relativo agli investimenti, pubblici o privati, è sceso di ben 29,7 punti percentuali, facendo mancare all’appello qualcosa come 109,4 miliardi di euro.
L’ammontare complessivo degli investimenti fissi lordi del 2014 è stato pari a 259,1 miliardi di euro, più o meno lo stesso valore del ’95, quando si attestava a 264,3 miliardi. Ciò è avvenuto al Sud più che nel resto d’Italia.
Come spiega il rapporto Svimez, nel periodo 2008-2014 gli investimenti fissi lordi sono diminuiti nel Mezzogiorno del -38,1%, circa 11 punti in più che nel resto del paese (-27,1%). Condizione che è proseguita anche l’anno scorso e che ha interessato in questo arco temporale tutti i settori di attività economica, in particolare nell’industria in senso stretto, crollata addirittura del 59,3% (-17,1% al Centro-Nord).
Il punto è che il Meridione parte ulteriormente svantaggiato, avendo già vissuto una tendenza alla riduzione nel periodo precedente alla crisi (-5,9% tra il 2001 e il 2007) quando il Centro-Nord era di segno opposto (8,3%). Ecco perché il rapporto Svimez, sul tema investimenti, appare in conclusione pessimista: il massiccio disinvestimento, spiega, mette “in dubbio la stessa possibilità di potersi agganciare al ciclo positivo internazionale e nazionale”. E “anche se sospinte da un adeguato sostegno pubblico, le conseguenze di questo prolungato disinvestimento in termini di crescita dureranno a lungo”.
(articolo pubblicato il 3 agosto 2015 su Tgcom24)