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L’Oms e il consumo di carne rossa

junk-foodDopo anni di dibattiti sul tema, la conferma arriva dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC): le carni rosse lavorate (tipo salsicce o wurstel) sono cancerogene e vanno inserite nel gruppo 1, quello che racchiude i cancerogeni certi. Al pari, per dirla diversamente, di fumo e benzene. Una decisione, ora ufficiale, che è stata presa a seguito di un’accurata analisi degli studi condotti in materia. Il rischio, infatti, si deve soprattutto al trattamento industriale e all’utilizzo di sostanze conservanti. Diversamente, le carni rosse non lavorate (ad esempio manzo, agnello e maiale) sono classificati come “probabili” cancerogeni, quindi nel gruppo 2.
Nel caso in cui la notizia dia oltremodo pensiero, è necessario chiarire – a farlo, a dire il vero, è la stessa IARC – che “prima di preoccuparsi, è importante sapere non solo in che lista si trova una certa sostanza ma quali sono i dosaggi e le durate d’esposizione oltre le quali il rischio diventa reale e non solo teorico”. Già, perché “le liste compilate dallo IARC raggruppano le sostanze sulla base del livello di cancerogenità dimostrato in studi scientifici. L’ingresso nella lista richiede che siano disponibili i risultati di studi di laboratorio e, se disponibili, anche di studi epidemiologici sull’uomo. Tali studi vengono eseguiti ad altissimi dosaggi o con durate d’esposizione molto lunghe, difficilmente replicabili nella vita reale”.
La carne rossa, in generale, è un alimento che è stato già abbastanza “scartato” dalle famiglie italiane. A causa della crisi, più che altro, ma anche da una cultura più salutista. Sul fronte economico tale situazione ha riguardato non solo il nostro paese: secondo un’indagine SWG più di due famiglie su tre in Europa hanno ridotto i consumi di proteine. Stando invece ad alcune recenti rilevazioni di Tecnè il 42% delle famiglie italiane ha ridotto la qualità dei prodotti acquistati negli anni della crisi, soprattutto quelli di fascia alta. Perciò, dal 2007 ad oggi, sono calati del 19% tra gli altri gli acquisti di carne bovina. Eppure altre ricerche hanno evidenziato una solida propensione a sborsare di più per i cibi bio o indicati per le diete di tipo vegetariano o vegano, a conferma del successo delle nuove tendenze salutiste.
Un occhio alla salute e uno al portafogli: considerando il dosaggio (il consumo di 50 grammi di carne lavorata al giorno dovrebbe aumentare i rischi del 18%, sembra) non c’è motivo di creare eccessivi allarmismi. Quello che si richiede è nient’altro che un’adeguata attenzione ai consumi, in definitiva.

 

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