Sono gli autonomi i più colpiti dalla crisi
In Italia i lavoratori autonomi sono tra i più colpiti dalla crisi economica. In effetti non è una novità, diversi studi, alcuni molto recenti, hanno già mostrato come questa tipologia di lavoratori ha risentito, più di altri, delle difficoltà degli ultimi anni. Ma i dati diffusi in queste ore dalla Cgia di Mestre illustrano un trend alquanto preoccupante.
C’è da considerare, infatti, che non solo i freelance, ma interi nuclei familiari hanno dovuto subire l’insostenibilità in diversi casi del lavoro autonomo. Soltanto nel 2014, per dare un’idea, il 24,9% delle famiglie con reddito principale da lavoro autonomo ha vissuto con una disponibilità economica inferiore a 9.455 euro annui, che è la soglia di povertà fissata dall’Istat. Una famiglia su quattro, per dirla altrimenti.
Nel periodo 2010-2014, fa notare quindi la Cgia di Mestre, la quota di nuclei familiari in cattive condizioni economiche ha registrato una crescita dell’1,2%. Per i pensionati la povertà è scesa dell’1%, tra i dipendenti è aumentata dell’1%, mentre tra gli autonomi l’aumento è stato del 5,1%, per quanto la variazione nell’ultimo anno sia stata pressoché nulla.
La Cgia fa rientrare tra gli autonomi i piccoli imprenditori, gli artigiani, i commercianti, i liberi professionisti e i coadiuvanti familiari. Insieme, costituiscono perlopiù “il popolo delle partite Iva”, o anche delle “finte partite Iva” quando nascondono, di fatto, una forma atipica di lavoro subordinato.
Novità importanti per i lavoratori autonomi dovrebbero giungere intanto dalla legge di Stabilità, soprattutto in termini di misure fiscali più agevoli. In più sono allo studio da parte del Governo nuove norme che realizzeranno il Jobs Act degli autonomi, inserito in un collegato alla legge di Stabilità.
Provvedimenti in questo senso sono da prendere in fretta, anche perché, come ricorda la Cgia, un autonomo che non ha lavoro non può accedere ad alcun tipo di sostegno al reddito, a differenza di un dipendente che può contare su una maggiore rete di tutele. È un elemento in più che incrementa la platea dei cosiddetti working poors (i poveri che lavorano). Questi ultimi, secondo recenti stime di Unimpresa, dovrebbero essere all’incirca sei milioni distribuiti tre le diverse tipologie contrattuali, e una quota non indifferente riguarda proprio gli autonomi.
Ma il problema non è legato soltanto alla soglia di povertà. Uno studio della Cgil ha dimostrato come i lavoratori autonomi siano nella maggior parte dei casi professionisti altamente qualificati (almeno il 53% di essi è laureato), eppure il reddito non è in linea con il bagaglio di competenze ed esperienza acquisite. Il 45%, infatti, guadagna più di 15 mila euro l’anno. Lordi, ovviamente.