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Lo Stato islamico in Africa

L'avanzata dello Stato islamico in Siria e Iraq ha perso slancio. Eppure l'organizzazione gode di grande prestigio tra i gruppi jihadisti di tutto il mondo, alcuni dei quali hanno giurato fedeltà al sedicente califfo
di Mirko Spadoni

KanoAbu Muhammad al Adnani non era un tipo qualunque nella galassia jihadista. Portavoce del gruppo terrorista dello Stato islamico (IS), era anche il capo del servizio di intelligence militare dell’organizzazione, conosciuto con il nome Amni – o Emni, ovvero “sicurezza” –, che si occupa di realizzare gli attentati in Paesi lontani dal sedicente califfato. Gli attacchi di Parigi e Bruxelles sono opera dei suoi membri, per capirci (farne parte non è semplice: un lungo articolo di Rukmini Callimachi del New York Times riferisce che le reclute vengono sottoposte ad un addestramento durissimo).
Adesso al Adnani ha smesso di essere un pericolo: il 30 agosto del 2016, Amaq News Agency – l’agenzia di stampa considerata vicina all’IS – ne ha annunciato la morte, avvenuta nei pressi della città siriana di Aleppo. Pur non specificando le cause del decesso, il comunicato evidenzia l’importanza del personaggio: al Adnani viene descritto come un membro del clan del profeta Maometto (Qurayshi) e della sua famiglia (Husayni). Titoli che hanno un certo peso nel mondo islamico: fino ad oggi, l’IS li aveva riservati soltanto al sedicente califfo Abu Bakr al Baghdadi. Quando era ancora in vita, in quanto portavoce, al Adnani aveva il compito di trasmettere i messaggi più importanti dello Stato islamico al mondo. Nel marzo del 2015, in un messaggio audio di circa 30 minuti, fu proprio lui ad annunciare che l’IS aveva deciso di accogliere la richiesta di affiliazione presentata da Boko Haram qualche mese prima, confermando l’espansione dello Stato islamico nel continente africano. Dove era già presente anche in Libia dal novembre del 2014: dopo essere tornati dalla Siria, dove avevano combattuto sotto le insegne dell’IS e inquadrati nella brigata al Battar, alcuni jihadisti libici decisero di giurare fedeltà al califfo, dando vita allo Stato islamico in Libia.

LA PROVINCIA DELL’AFRICA OCCIDENTALE
Boko Haram – l’organizzazione terrorista nigeriana, il cui nome ufficiale è Jama’atu Ahlis Sunna Lidda’awati wal-Jihad, che tradotto significa “le persone impegnate per la propagazione degli insegnamenti del profeta e per il jihad” – ha giurato fedeltà al sedicente califfo nel gennaio del 2015, rompendo il legame con al Qaida e adottando il nuovo nome di Provincia dell’Africa occidentale dello Stato islamico. Ultimamente ci sono state diverse novità, ma andiamo con ordine. Le difficoltà del gruppo, innanzitutto. Dall’elezione a presidente di Muhammadu Buhari, nel maggio del 2015, i bombardamenti dell’esercito contro Boko Haram sono stati intensificati. Da allora l’organizzazione, che non è stata ancora completamente annientata, ha perso il controllo di molti territori. A questo si aggiunge la spaccatura all’interno del gruppo. Nei primi giorni di agosto al Naba (La Notizia), una delle numerose riviste pubblicate dallo Stato islamico, annuncia la nomina a nuovo capo dell’organizzazione di Abu Musab al Barnawi, fino ad allora un semplice portavoce del gruppo. Neanche il tempo di metabolizzare questa novità che Abubakar Shekau ribadisce, in un messaggio di circa 10 minuti, di essere ancora il leader. Shekau morirà qualche giorno dopo, il 19 agosto del 2016, almeno secondo la versione dell’aviazione nigeriana, che sostiene di averlo ucciso durante un raid aereo nella foresta Sambisa, nello stato del Borno.
L’affiliazione allo Stato islamico avrebbe causato una spaccatura all’interno del gruppo: da una parte ci sono i miliziani che hanno deciso di seguire Abu Bakr al Baghdadi, dall’altra quelli che hanno preferito rimanere sotto la guida di Shekau, il quale non riscuoterebbe grandi simpatie tra i vertici dell’IS. Il motivo? Gli attacchi indiscriminati verso le moschee e i mercati musulmani condotti da Boko Haram sotto la sua guida. Ad oggi il gruppo sarebbe ancora diviso. A confermarlo è il video diffuso il 14 agosto che mostra alcune studentesse rapite dall’organizzazione nel 2014 da una scuola di Chibok. Parlando al Guardian, l’analista Ryan Cummings ha osservato che “il video si riferisce a Boko Haram con il suo nome tradizionale”, invece che con quello adottato dopo l’affiliazione all’IS. Una sfumatura, certo. Ma che probabilmente dimostra l’esistenza della fazione fedele al vecchio leader.
Boko Haram non si limita a sequestrare, stuprare e uccidere i civili: secondo un’inchiesta del Wall Street Journal, negli ultimi tre anni il gruppo ha rapito diecimila ragazzini che sono poi stati addestrati per combattere, per diventare perfetti jihadisti e ingrossare i ranghi di un’organizzazione estremamente pericolosa e che purtroppo non è l’unica ad essere attiva in Africa.

L’IS IN SOMALIA
Al Shabaab – il gruppo terrorista somalo fondato intorno al 2006 – è in difficoltà. L’ascesa dello Stato islamico ha diviso il gruppo in due: da una parte, c’è il nucleo che ha la sua base nella Somalia centrale e non intende abbandonare il network di al Qaida; dall’altra, ci sono le cellule operanti nel sud del Paese africano e in Kenya che invece intendono entrare a far parte del califfato. Sempre ammesso che non lo abbiano già fatto: nell’aprile del 2016, è stato diffuso un breve comunicato che annunciava la nascita di un nuovo gruppo – Jabha East Africa, ovvero Fronte dell’Africa Occidentale – fedele allo Stato islamico. Limes, la rivista di geopolitica italiana, osserva che “potrebbe trattarsi di una nuova piccola unità creata da scissionisti” di al Shabaab “in maggioranza provenienti dal Kenya, dall’Uganda e dalla Tanzania”. Resta comunque difficile stabilire quanti sono gli jihadisti appartenenti a questa nuova formazione.

IN EGITTO E ALGERIA
Il 10 novembre del 2014, attraverso un post pubblicato su Twitter, Ansar al Bayt Maqdis (ABM) – un’organizzazione terroristica attiva dal 2011 nel Sinai – ha giurato fedeltà al sedicente califfo, adottando una nuova denominazione: la Provincia del Sinai dello Stato islamico. L’Istituto di politica internazionale (ISPI) osserva che pur nascendo come “una formazione islamista radicale di matrice salafita che si richiama all’ideologia qaedista”, ABM non è mai risultata legata al network di al Qaeda. Questo non gli ha impedito comunque di stringere relazioni “con altre realtà jihadiste ben radicate sui territori e con affiliazioni, più o meno dirette, al nucleo centrale di al-Qaida, come Jabhat al Nusra e Ahrar al Sham in Siria e i movimenti islamisti attivi in Libia”.
L’Algeria, infine. La sezione algerina dell’IS – Jund al Khilafah in Algeria (JAK-A) che tradotto significa “i soldati del califfato” – nasce invece il 13 settembre del 2014, quando i comandanti militari più anziani di al Qaeda nel Maghreb islamico (AQIM) decidono di passare sotto la guida di Abu Bakr al Baghdadi. Solo qualche giorno dopo, JAK rapì e successivamente decapitò Hervé Gourdel, un cittadino francese di 55 anni. All’incirca un anno dopo, più esattamente il 29 settembre del 2015, il Dipartimento di Stato americano ha inserito il gruppo, che ha subìto diverse perdite a causa della repressione del governo di Algeri, nella lista dei gruppi terroristi stranieri.

AGGIORNAMENTO, 28 SETTEMBRE 2016
Il 25 settembre 2016, in un video lungo 40 minuti e pubblicato su YouTube, Abubakar Shekau ha annunciato di essere ancora vivo, smentendo così la versione dell’aviazione nigeriana che lo aveva dichiarato morto. “Sui social media avete detto di avermi ucciso o ferito”, ha sottolineato Shekau. “Oh tiranni, io sto in ottima salute”.

 

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