Usa 2016. La vittoria (poco?) a sorpresa di Trump | T-Mag | il magazine di Tecnè

Usa 2016. La vittoria (poco?) a sorpresa di Trump

La vittoria del tycoon è avvenuta a sinistra e a destra. Ma per i Democratici non è una vera débacle
di A. Caputo

Un voto shock, una “Brexit” al quadrato, che nessuno prevedeva, eppure dopo una campagna elettorale durissima, Donald Trump vince la corsa elettorale diventando il 45° Presidente USA. Tuttavia la prevalenza dell’ex First Lady nel voto nazionale è la dimostrazione della spaccatura ormai costante dell’elettorato: nelle cinque elezioni del nuovo millennio, vittorie (e sconfitte) sono sempre state risicate (a parte Obama nel 2008, una vittoria ottenuta in piena crisi dei mutui sub-prime ossia in un contesto particolarissimo).

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IL FENOMENO DELLA “DIVARICAZIONE” ELETTORALE
Il trend nazionale (Hillary che ha quasi azzerato i 4 punti scarsi, di Obama su Romney) non è stato rispecchiato in tutti gli Stati con alcuni, per ragioni legate, o alla provenienza dei candidati (Massachusetts e Stati mormoni delle Montagne Rocciose, dov’era di casa Romney; la regione della Capitale Washington/DC, per la candidatura a vice di Tim Kaine, della Virginia) o alla composizione dell’elettorato come gli ispanici Arizona, Texas (dove si è sentito anche il mancato appoggio a Trump del clan Bush) e California (dove la Clinton ha inflitto a Trump 28 punti: miglior dato dal 1940) che hanno visto un rendimento dell’ex First Lady migliore di Obama nel 2012. Per contro, Trump ha avuto forti successi in molti Stati: per performance migliori bisogna risalire a Bush padre nel 1988 per Maine, Rhode Island, Ohio, Michigan e Pennsylvania; ai trionfi di Reagan, nel 1984, per Wisconsin, Minnesota, Louisiana, Missouri e Oklahoma o nel 1980 in Iowa e North Dakota; al trionfo di Nixon nel 1972 in Alabama, Arkansas e Tennessee; addirittura a quello di Eisenhower nel 1952 in South Dakota; mentre, in Wyoming, Kentucky e West Virginia è senza precedenti il distacco tra il tycoon e la Clinton. Quest’elenco fa comprendere il fenomeno della “divaricazione” elettorale: il distacco dalla media nazionale, in un senso o nell’altro, si fa più forte ad ogni elezione; fino al 1992, il voto degli Stati si discostava sì, dal dato nazionale, ma non nelle proporzioni odierne. Gli Stati elencati per Trump (eccetto quelli del Nordest e della cintura industriale) votano, da un quarto di secolo, repubblicano sempre più massicciamente; e così la West Coast, buona parte del Nordest e l’Illinois, per i Democratici. Le due Americhe sono sempre più lontane e alla lunga tale divaricazione può rivelarsi pericolosa per la tenuta della nazione, come si vede nelle manifestazioni anti-Trump esplose l’indomani del voto, anche a seguito di una campagna elettorale come non mai sopra le righe.

PER TRUMP VOTI DA DESTRA E DA SINISTRA
La vittoria del tycoon è avvenuta a sinistra e a destra: a destra, per la mobilitazione dell’elettorato religioso, nel profondo Sud e nel Midwest che ha visto minacciata la sua libertà (soprattutto nel secondo mandato) con Obama, dall’obbligo di copertura sanitaria per l’aborto anche nelle cliniche di orientamento cristiano, all’obbligo per i funzionari di celebrare le nozze gay (celebre il caso della funzionaria arrestata in Kentucky per essersi rifiutata, in nome della libertà religiosa, prevista dalla Carta dei Diritti, in Costituzione); a sinistra sulle tematiche economiche, con la mobilitazione del ceto medio e dei colletti blu (operai) che hanno punito la Clinton, favorevole ai trattati di liberalizzazione commerciale come il Ttip (contro cui Trump ha costruito una buona fetta del suo successo), che minacciano di portare via ulteriori posti di lavoro, in aree già depresse e sul cui elettorato il repubblicano ha fatto breccia, promettendo un ritorno al protezionismo e una marcia indietro sui trattati già vigenti come il NAFTA Sul tutto si innesta la tematica immigrazione (al di là dei toni talvolta utilizzati) vista dal ceto medio e basso come ulteriore minaccia alle proprie sicurezze, dal punto di vista non solo dei reati (di strada, o addirittura di terrorismo), ma soprattutto economica, con i nuovi arrivati percepiti come funzionali al “grande” capitale per calmierare gli stipendi; un voto tradizionalmente di sinistra che già ha fatto da propulsore alla Brexit.

I REPUBBLICANI VINCONO SE…
Ultimo, ma non ultimo, aspetto, lo stato dei partiti. La sconfitta dei Democratici, a differenza di com’è stata da tutti dipinta, non è certo catastrofica: Hillary ha preso più voti di Trump a livello nazionale, la maggioranza repubblicana, pur confermata, è stata ridimensionata in entrambi i rami del Congresso; il neoeletto presidente incontrerà inevitabili difficoltà col suo partito, che non lo ama e avrà difficoltà anche a mantenere molte sue promesse. L’unico vero aspetto per cui si può parlare di débacle (che, nei numeri, ripetiamo, non c’è) è proprio perché si tratta di una sconfitta, ottenuta con tutti che remavano nella stessa direzione, contro un uomo da solo; la débacle però, è più di Hillary Clinton che non dei Democratici. I Repubblicani infine; da ormai 50 anni, a partire cioè dalla rivoluzione dei “diritti civili”, che ha prodotto la polarizzazione dell’elettorato tra bianchi (saldamente Repubblicani) e minoranze, non solo etniche (fedeli ai Democratici), vede alle presidenziali la prevalenza dei candidati dell’Elefante (a differenza dei Dem.) quando essi sono (o si comportano) più estremi, rifiutando il politically correct (un pensiero sconfitto in queste elezioni) e la sconfitta (inesorabile) se sono moderati. Infatti a vincere sono stati gli “aggressivi” Nixon nel 1968 e nel 1972, Reagan, nel 1980 e nel 1984, Bush padre (di suo un moderato, ma che condusse una campagna elettorale molto dura) nel 1988, Bush figlio nel 2000 e 2004 e Trump quest’anno; a perdere i moderati Ford nel 1976, il moderato di ritorno Bush padre nel 1992, Bob Dole nel 1996, McCain nel 2008 e, quattro anni fa, Romney. Viene così smentito l’assunto secondo cui le elezioni si vincono al centro: da mezzo secolo, i Repubblicani vincono se si spostano a destra.

Le puntate precedenti:
Usa 2016. La corsa a incontrare Donald Trump
Usa 2016. La sociologia del voto
Usa 2016. Il victory speech di Donald Trump
Usa 2016. Donald Trump alla Casa Bianca
Usa 2016. La diretta del voto

 

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