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La difficile situazione nella Striscia di Gaza

Dopo dieci anni l'ANP torna a prenderne il controllo e dovrà risolvere i tanti problemi che la riguardano
di Mirko Spadoni

L’ANP – acronimo che sta per Autorità nazionale palestinese – ha preso il controllo della Striscia di Gaza. Si tratta di un ritorno, in realtà: dal 2007 la Striscia era governata da Hamas – Movimento islamico di resistenza, tradotto dall’arabo –, dopo la rottura con al Fatah, il partito che guida l’ANP, che portò alla divisione de facto della Palestina, con Gaza sotto il controllo dei primi e la Cisgiordania governata dai secondi.

Il ritorno dell’ANP è stato annunciato il 17 settembre scorso, quando Hamas ha comunicato lo scioglimento del “comitato amministrativo, la consegna della striscia di Gaza al governo del primo ministro Rami Hamdallah” e la disponibilità “a tenere le elezioni generali, che riguardino sia Gaza che la Cisgiordania”.

Il riavvicinamento tra Hamas e l’ANP è stato possibile grazie all’intermediazione dell’Egitto e (forse) è dovuto alla grave crisi umanitaria di Gaza.

La Striscia è una delle zone più densamente popolate al mondo – ci vivono tra 1,7 e le 2 milioni di persone sparse in soli 360 km quadrati – e che, secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite, potrebbe diventare addirittura “invivibile” entro il 2020.

Ad agosto 2017 un rapporto dell’Oxfam – un’organizzazione non profit contro la povertà – ne ha denunciato la gravità della situazione. Nella Striscia di Gaza scarseggiano molte cose. In tutto, due milioni di persone – erano 900mila dopo la guerra tra Hamas e Israele del 2014 – necessitano di acqua e servizi igienici (attualmente nessuno dei centri di trattamento delle acque, la metà dei quali aveva cessato di funzionare dal 2014, è in funzione). A mancare è anche l’elettricità, a disposizione della maggioranza degli abitanti solo per 2 ore al giorno.

Come si è arrivati a questo punto. Dal giugno 2007, ovvero da quando Hamas ne ha preso in controllo, Israele e Egitto hanno imposto un blocco alla Striscia di Gaza, limitando i movimenti terrestri, aerei e marittimi dei palestinesi.

I rapporti tra Hamas e Tel Aviv sono sempre stati pessimi: tra le altre cose, dalla Striscia, il movimento islamista ha attaccato ripetutamente il vicino israeliano, colpendone le cittadine e gli insediamenti. Oltre ad imporre un parziale (seppure durissimo) embargo, Tel Aviv è intervenuta anche militarmente in tre diverse occasioni dal 2008 al 2014. La situazione è diventata presto difficilissima. E insostenibile.

Secondo l’Ufficio dell’ONU per gli affari umanitari (OCHA) e dell’Agenzia dell’ONU per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel vicino Oriente (UNRWA), dal 2007 il Prodotto interno della Striscia è crollato del 50%. Circa la metà delle famiglie (47%) vive in stato di insicurezza alimentare, il 40% riceve acqua soltanto due volte alla settimana – fino a un milione di persone potrebbero essere esposte a malattie mortali portate dall’acqua –, mentre 35mila persone sono ancora sfollate dalla guerra del 2014.

I risvolti geopolitici, infine. Hamas ha fatto un passo indietro anche a causa dell’isolamento imposto dai principali Paesi arabi al suo maggiore sponsor e finanziatore: il Qatar. “L’asse Egitto-Arabia Saudita-Emirati arabi è stato decisivo per imporre i nuovi equilibri all’interno della leadership palestinese”, osserva La Stampa.

 

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