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Le tensioni commerciali stanno riducendo i ritmi di crescita?

L'economia mondiale continua a compiere progressi, ma negli ultimi tempi si registrano dei rallentamenti rispetto alle stime iniziali. I timori in caso di guerra commerciale
di Redazione

Sebbene la crescita economica sia ai massimi dal 2011 e la disoccupazione continui a scendere in molti paesi, bisogna fare i conti con un mondo che sta cambiando, soprattutto per quanto riguarda le relazioni commerciali. Più o meno è suonato così il discorso pronunciato a Washington qualche giorno fa dal direttore generale del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde. Il riferimento, nemmeno troppo velato, è al crescente protezionismo che potrebbe, nei timori del FMI, rallentare l’economia.

Proprio in questi giorni, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha potuto celebrare il nuovo Nafta, l’accordo di libero scambio con Messico e Canada (che ora si chiamerà Usmca). L’intesa (che in un certo senso, considerate le divergenze delle settimane precedenti, ha messo all’angolo proprio il Canada, altrimenti costretto a subire tariffe del 25% sulle auto) favorirà, tra le altre cose, la produzione di automobili sul suolo americano e i produttori statunitensi del lattiero caseario. Le dinamiche commerciali stanno registrando negli ultimi tempi dei segnali di rallentamento, tuttavia inferiori rispetto ai timori iniziali. C’è da osservare, a tale proposito, che Washington non trarrebbe alcun vantaggio da una guerra commerciale vera e propria, al di là delle misure prese in questa direzione e delle tariffe applicate sui prodotti cinesi ancora di recente. È il principio «America First» a indirizzare le scelte dell’attuale amministrazione statunitense, come del resto dimostra l’intesa sul nuovo Nafta (che adesso però dovrà passare per l’ok del Congresso e a breve si terranno le elezioni di mid-term).

In ogni caso, una guerra commerciale con il resto del mondo potrebbe danneggiare principalmente l’economia degli Stati Uniti. Lo sostengono gli analisti della Banca centrale europea in uno studio pubblicato la scorsa settimana. Secondo l’analisi, il Prodotto interno lordo degli Stati Uniti potrebbe contrarsi del 2% nel primo anno di ipotetica guerra commerciale. Le altre economie – in primis, la Cina – potrebbero invece ottenere un vantaggio. Lo studio immagina uno scenario in cui, a fronte di una decisione da parte americana di imporre un aumento del 10% delle tariffe doganali su tutte le importazioni, i partner commerciali rispondono con una misura di analoga entità nei confronti degli Usa, lasciando invariati gli scambi tra di loro.

Le tensioni commerciali stanno comunque compromettendo i ritmi di crescita. Le nuove previsioni dell’Ocse – come ricorda l’ufficio studi di Sace – hanno rivisto al ribasso la crescita dei paesi del G20 per l’anno in corso e per il 2019. «Nel 2018 – si osserva nell’analisi – il Pil di queste geografie dovrebbe crescere del 3,9%, in accelerazione rispetto al 3,8% del 2017, ma lo 0,1% in meno rispetto a quanto atteso a maggio scorso. Più drastica la correzione per il 2019 che dovrebbe vedere una crescita dei paesi più industrializzati del 3,8%, lo 0,3% in meno di quanto previsto solo quattro mesi fa». Secondo quanto riportato dall’Ocse, le tensioni commerciali e l’incertezza riguardo alle politiche assunte hanno ridotto il tasso di crescita del commercio mondiale dal 5% del 2017 a circa il 3% nei primi sei mesi dell’anno. «La crescita nel primo semestre del 2018 ha tenuto in Cina e India (con quest’ultima che dovrebbe vedere un aumento del Pil del 7,5% e si caratterizza per l’economia con il tasso maggiore), ma è rallentata in Brasile, mentre le politiche fiscali espansive stanno sostenendo la crescita di breve periodo negli Stati Uniti (+3% quest’anno e +2,8% l’anno prossimo) e in Corea del Sud».

 

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