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L’impatto del coronavirus sul calcio

Il campionato è ripartito, ma ora la domanda è: quanto è ancora economicamente sostenibile il mercato delle partite senza i tifosi? Alcuni studi al riguardo provano a rispondere

di Redazione

Si sta discutendo molto sulla riapertura degli stadi di calcio a seguito della ripresa del campionato, avvenuta lo scorso 19 settembre. Nelle ultime ore Vincenzo Spadafora, ministro per le Politiche Giovanili e lo Sport, aveva annunciato un protocollo per riaprire in sicurezza gli stadi e gli impianti sportivi, che da Dpcm dovrebbero essere chiusi almeno fino al 7 ottobre.

Nel frattempo la Conferenza delle Regioni si è detta favorevole alla riapertura degli stadi di calcio e degli altri impianti sportivi e approvato un documento le cui linee guida prevedono il via libera alla presenza del 25% dei tifosi rispetto alla capienza massima dello stadio, il posto assegnato che deve essere personale e adeguatamente distanziato da quello più vicino, l’ingresso solo dopo aver misurato la febbre, e l’obbligo di indossare la mascherina per tutto il tempo, anche se all’aperto. Del tutto contrario alla riapertura anche seguendo queste modalità, il presidente della Regione Lazio, per le partite del 27 settembre e del 4 ottobre permetterà l’accesso allo stadio Olimpico ad un massimo di 1.000 persone, all’aperto.

Ma oltre l’aspetto del tifo e dell’importanza della presenza del cosiddetto “dodicesimo uomo in campo”, quanto ancora il calcio può durare senza tifosi? Quanto è ancora economicamente sostenibile il mercato del calcio e delle partite senza i tifosi? La questione degli stadi chiusi è infatti un problema economicamente rilevante per le società proprietarie di squadre che vedono così ridurre una fetta importante di entrate.

Secondo lo studio condotto da Calcio e Finanza, effettuato sui dati dei bilanci chiusi al 30 giugno 2019, e le relazioni semestrali al 31 dicembre 2019 disponibili, ogni giornata giocata senza pubblico in presenza costerebbe ai club otto milioni, per un totale di circa 290 milioni in perdite di introiti. Nello specifico la Juventus dovrà rinunciare a circa 70 milioni di euro, che incidono per il 15% sul totale dei ricavi.

Invece, secondo le stime dell’impatto del coronavirus sui ricavi dei club effettuate da KPMG nella ricerca Football Benchmark, i normali flussi di reddito dei club sono stati influenzati dall’assenza di ricavi da stadio, e dalla sospensione o riduzione dei ricavi commerciali e da diritti tv, a cui non è corrisposto una diminuzione dei salari dei giocatori, determinando così un impatto negativo sulla redditività delle squadre. I club, comunque, secondo la ricerca, perderebbero parte importante dei ricavi a causa della perdita di valore dei propri giocatori sul mercato.

Dopo gli ingenti danni subiti dalle squadre di Serie A per la chiusura degli stadi nella scorsa stagione, la partenza con impianti ancora inaccessibili ai tifosi determinerebbe altri costi, forse troppo, significativi. Intanto in Bundesliga, la lega tedesca, già si tenta di ricominciare, con gli stadi aperti al pubblico, per il 20% della loro capienza massima, fino a fine ottobre, quando si valuterà l’esito della sperimentazione.

 

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