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La gestione del tempo di lavoro

Lo smart working per molti lavoratori ha aumentato gli orari di lavoro e intensificato la pressione per controlli e scadenze, un problema riscontrato dall’Eurostat già durante il 2019

di Redazione

Il prolungamento dello stato di emergenza fino al 31 gennaio 2021 proroga il regime semplificato per lo smart working. Il lavoro agile, però, seppur apprezzato in molti casi da lavoratori e imprese, non riscuote solo successi. A fronte di una migliore conciliazione dei tempi di vita e di lavoro c’è sicuramente il fattore speculare, cioè il non avere orari di lavoro definiti che implica per un lavoratore su due anche lavorare di più di quando si era in ufficio. Inoltre, secondo una ricerca condotta da LinkedIn durante il lockdown, con lo smart working il 46% dei lavoratori italiani intervistati si sente stressato e ansioso. Anche in base ai risultati dell’analisi di Variazioni, società che propone soluzioni di smart working e welfare aziendale, il lavoro agile durante il lockdown non è stato per tutti positivo: il 25% del campione utilizza per descriverlo aggettivi quali nervoso, impaurito, agitato, frustrato, angosciato e abbandonato.

Photo by Corinne Kutz on Unsplash

Sicuramente il fattore tempo e orario di lavoro ha inciso notevolmente sui casi di burnout da smart working e sulle sensazioni negative testimoniate, proprio per la tendenza a mostrarsi disponibili a finire i lavori anche oltre il canonico orario di ufficio.

Ma la pressione del tempo a lavoro, è opportuno precisare, non è iniziata con il lockdown. L’Eurostat riporta che nell’UE, lo scorso anno, un lavoratore su tre affermava di avvertire il carico della pressione durante l’orario di lavoro.

Nello specifico una persona su dieci occupata nell’UE ha sempre lavorato sotto pressione, mentre una persona su quattro “spesso”. Al contrario, quasi due occupati su tre – il 42% dei lavoratori – si è sentito solo a volte nella stessa condizione e un  22% ha dichiarato di non aver mai lavorato sotto pressione.

A livello nazionale l’Italia è nella parte bassa del ranking, con il 33% circa degli occupati che nel 2019 hanno ammesso di sentirsi sotto pressione a lavoro, di questi solo il 9% dichiara di sperimentare sempre tale condizione, mentre il 20% dichiara di non avere la medesima percezione.

In generale la classifica dei paesi membri dell’Unione mostra che Malta ha registrato la quota più alta di occupati che hanno sempre lavorato sotto pressione, il 21% nel 2019. Dall’altra parte la Slovacchia, dove la condizione interessava solo il 4% dei lavoratori. Per quanto riguarda coloro che non hanno mai sperimentato pressione sul lavoro, la percentuale più alta è stata osservata in Spagna, con il 39%.

 

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