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I rischi per le Pmi

Il Barometro Censis-commercialisti sull’andamento dell’economia: a causa della pandemia in pericolo imprese, un fatturato di 80 miliardi e posti di lavoro

di Redazione

Il peso della crisi economica dovuta alla pandemia di coronavirus si rifletterà ancora nel 2021 e potrà colpire in particolar modo le Pmi. Sono 460 mila – rivela il II Barometro Censis-commercialisti sull’andamento dell’economia – le piccole imprese italiane (con meno di 10 addetti e sotto i 500.000 euro di fatturato) a rischio chiusura a causa della pandemia, l’11,5% del totale, per una potenziale perdita di un fatturato complessivo di 80 miliardi di euro e quasi un milione di posti di lavoro. 

Il 29% dei commercialisti, viene spiegato nello studio, rileva che più della metà delle microimprese clienti ha almeno dimezzato il proprio fatturato (il dato scende al 21,2% nel caso dei commercialisti che si occupano di imprese medio-grandi). Sono quindi 370 mila le piccole imprese che hanno subito un crollo di più della metà dei ricavi. Inoltre, il 32,5% dei commercialisti registra in più della metà della clientela una perdita di liquidità superiore al 50% nell’ultimo anno (il dato scende al 26,2% tra i commercialisti che seguono imprese di maggiori dimensioni). Sono cioè 415 mila le piccole imprese che oggi dispongono di meno della metà della liquidità rispetto ad un anno fa.

Le misure pubbliche adottate durante l’emergenza ottengono una valutazione tra luci e ombre da parte dei commercialisti. Il sostegno alle imprese (moratoria sui mutui, garanzie statali sui prestiti) viene giudicato positivamente dal 45,2%, in modo negativo dal 34%. Gli aiuti al lavoro (divieto di licenziamento, ricorso alla Cassa integrazione in deroga) sono promossi dal 43,4%, bocciati dal 34,9%. Il sostegno alle famiglie (bonus babysitter, congedi parentali, Reddito di emergenza) è visto con favore dal 36,6%, mentre il 37,5% ne dà un giudizio negativo. La sospensione dei versamenti fiscali e contributivi per le imprese più penalizzate è valutato bene dal 33,3%, male dal 46,9%. Per i commercialisti lo sforzo statuale nel supportare gli operatori economici e i lavoratori durante il blocco di mercati e imprese va apprezzato, ma non basta.

Come intervenire?

Secondo i commercialisti, spiega il Censis, bisogna intervenire «su quello che non ha funzionato». Il 79,9% dei commercialisti auspica più chiarezza nei testi normativi, il 76,7% chiede tempestività nei chiarimenti sulle prassi amministrative, il 70,7% molti meno adempimenti, il 67,2% una migliore distribuzione delle risorse pubbliche tra i beneficiari, il 61,1% una più efficace combinazione delle misure adottate, il 58,4% un taglio netto dei tempi necessari per l’effettiva erogazione degli aiuti economici, il 49,9% ritiene necessari stanziamenti economici più consistenti. Se gli strumenti di sussidio per i diversi beneficiari vengono promossi, viene però bocciata l’effettiva applicazione delle misure a causa dei detriti burocratici che rallentano tutto. «Occorre snellire gli adempimenti burocratici e i passaggi formali per rendere gli interventi più efficaci questo chiedono i commercialisti, convinti che le imprese vadano aiutate a resistere oggi, per non morire e per ripartire domani».

La situazione attuale

Per il 41% bisogna essere pronti a tutto perché tutto può succedere. Il 27,6% sottolinea l’ansia pervasiva provocata dalla nuova ondata di contagi. Per il 40,7% dei commercialisti ci vorrà molto tempo per uscire dalla crisi, il 26,9% ritiene che occorre adattarsi subito alle nuove condizioni o non ci sarà crescita, il 24,2% pensa che molti settori vitali siano ancora in difficoltà.

 

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