Il futuro dello smart working: quali soluzioni
Dalla Germania arrivano due proposte molto diverse: il lavoro da remoto è un vantaggio da tassare o un sacrificio da compensare in qualche modo?
di Redazione
Dopo questo periodo in cui quasi tutte le aziende hanno sperimentato lo smart working, secondo una ricerca dell’Osservatorio Imprese Lavoro Inaz e Business International, solo il 6% dichiara di voler tornare alla condizione preesistente senza la possibilità di lavoro da remoto. Dalla ricerca emerge che la maggior parte delle aziende giudicano positivamente lo smart working: il 78% delle aziende dichiara che l’esperienza è stata positiva durante la fase di emergenza e il 56% dei direttori delle Risorse Umane hanno riscontrato un aumento della motivazione e del senso di appartenenza dei dipendenti. In generale però sei aziende su 10 individuano nello smart working l’iniziativa più urgente su cui investire per quanto riguarda la gestione delle risorse umane poiché manca ancora di progettualità.
Lo smart working è stato implementato da molte aziende in fase emergenziale per non compromettere le attività durante il periodo di lockdown, ma presenta ancora delle zone d’ombra e delle questioni da definire meglio, quali il diritto alla disconnessione, l’orario di lavoro e l’utilizzo di dispositivi personali. Tra le questioni irrisolte rimane anche quella inerente ai buoni pasto e allo stipendio. Sulla quest’ultimo aspetto sembrano farsi largo due visioni che sono giunte a proposte diametralmente opposte, una giunta dai partiti Spd e Csu e l’altra dalla Deutsche Bank.
Partiamo dalla seconda soluzione, avanzata da Luke Templeman, strategist dell’istituto bancario. La proposta prevede di applicare una detrazione del 5% dallo stipendio di coloro che scelgono di lavorare da remoto, anche parzialmente, una volta che l’emergenza sarà finita. Questo perché, nonostante il maggiore stress mentale per la presenza di altri componenti della famiglia soprattutto bambini, lo smart working sarebbe un privilegio che comporta più guadagni che costi per il dipendente. Tra i vantaggi sicuramente quelli intangibili come la comodità e la flessibilità di orario, e vengono individuati anche risparmi diretti, come le spese di viaggio, i vestiti, il pranzo fuori casa e risparmi indiretti quali le spese sostenute in ufficio.
In quest’ottica la tassa del 5% equivarrebbe in media a quanto sostenuto da chi si reca quotidianamente in ufficio, tra trasporti, pasti fuori casa e spese di vestiario. Viene poi immaginato che i soldi accumulati, approssimativamente 20 miliardi di euro per le casse tedesche, siano utilizzati per dare sussidi a coloro che invece a causa della pandemia si sono ritrovati in difficoltà economica, cioè a chi ha perso o sospeso il proprio lavoro o chi continua ad andare in ufficio.
Per quanto riguarda la soluzione di Spd e Csu, si pensa di compensare il disagio dei lavoratori in smart working che si vedono costretti ad utilizzare e sacrificare spazi della propria casa per lavorare. La proposta dovrebbe prevedere la possibilità dei dipendenti di richiedere cinque euro in più per ogni giorno di lavoro a casa, per un massimo di 100 giorni di smart working l’anno. La proposta tenta così di indennizzare il disagio degli smart worker e vede quindi il lavoro da remoto come un carico in più per i lavoratori che utilizzano spazi e utenze private e spesso anche dispositivi personali.