Smart working: chi l’ha adottato e quanto ha funzionato
Le imprese che lo utilizzano sono sono aumentate dal 28,7% del 2019 all’82,3% del 2020. Lo strumento ha consentito di limitare l’impatto negativo su produzione, fatturato e occupazione
di Redazione
Secondo quanto emerge da un paper di Bankitalia, le imprese che utilizzano lo smart working e il lavoro da remoto (pratica che si è diffusa a causa dell’emergenza sanitaria) sono aumentate dal 28,7% del 2019 all’82,3% del 2020, per 1,8 milioni di lavoratori nel settore privato, cioè il 14,4% del totale, quando nel 2019 erano solamente 200 mila. Le condizioni hanno portato un largo utilizzo del lavoro da remoto, con un incremento ancora più evidente anche nella pubblica amministrazione, dove la percentuale di lavoratori che hanno lavorato in modalità smart almeno una volta a settimana è passata dal 2,4% del 2019 al 33% del secondo trimestre del 2020.
Dal report emerge che ad usufruire di più dello smart working sono state le donne, i dipendenti di grandi imprese e i lavoratori più istruiti, mentre risulta minoritario tra coloro che non svolgono occupazioni adattabili al telelavoro. Come spiega la Banca d’Italia lo smart working applicato in questo periodo di emergenza ha consentito di limitare l’impatto negativo su produzione, fatturato e occupazione delle imprese, e inoltre sottolinea che in media i dipendenti in smart working hanno lavorato più ore, il 6% in più, con relativi aumenti di straordinario e di ore pagate e, come altro effetto positivo sul reddito, hanno fatto meno ricorso alla Cassa integrazione rispetto a quelli che non hanno usufruito del telelavoro.
Lo smart working è stato quindi utile per mantenere costanti i livelli occupazionali e ha anche permesso di mantenere l’isolamento sociale necessario come misura di contenimento del virus. Oltre a questi vantaggi, lo smart working ha permesso di ridurre, rispetto al 2019, il divario di utilizzo della modalità agile tra Nord e Sud e tra settori di produzione.