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I fattori di freno per la ripresa economica

La riduzione dei consumi familiari e l’aumento anomalo della domanda di input produttivi sono tra gli elementi che secondo il Censis rappresentano un rischio per la crescita

di Redazione

La robusta ripresa delle attività produttive, dopo le restrizioni a livello massivo per il contenimento del coronavirus, ha generato un’enorme domanda mondiale di tutte le materie prime che sono alla base dei processi industriali. La loro disponibilità è crollata e il loro prezzo si è impennato. E diversi elementi – è l’analisi del Censis nel 55esimo Rapporto sulla situazione sociale del Paese, presentato oggi, venerdì 3 dicembre, – sono alla base della spirale perversa che si è determinata, nonché fattori di freno per la ripresa economica.

In primo luogo, osserva il Censis, la rapida decompressione dei consumi familiari, congelati nelle fasi più complicate, ma adesso in condizione di alimentare rapidamente la domanda di beni e servizi. A seguire la crescita anomala della domanda di input produttivi legata alla rapida ripartenza delle attività manifatturiere in tutto il mondo; il movimento speculativo borsistico che si è generato sulle commodities; il protagonismo del gigante cinese nel mercato dei materiali; la doppia transizione (digitale ed ecologica) in cui molti paesi sono oggi impegnati, con la crescente domanda di tutto ciò che è necessario per alimentarla (si pensi alle terre rare o ai semiconduttori); il contemporaneo rialzo del prezzo dell’energia (sia del petrolio che del gas e conseguentemente dell’energia elettrica) legato a diversi fattori (questioni geopolitiche, riduzione dell’offerta, aumento della domanda, aumento dei prezzi di emissione della CO2, quadruplicato rispetto al 2019).

L’impatto del fenomeno sui processi produttivi nazionali, analizza perciò il Censis, è notevole e si evidenzia chiaramente prendendo in esame la variazione tendenziale dei prezzi alla produzione nell’industria. Negli ultimi dodici mesi (agosto 2020-agosto 2021) la crescita è stata particolarmente consistente (+11,6%) e anche escludendo il settore energetico (che per i noti problemi presenta un aumento del 30% circa), si raggiunge comunque un +7,5% per la manifattura nel suo complesso, un +7,8% per la chimica, un +5,3% per la costruzione di edifici.

«L’economia della “scarsità relativa”, nella quale il paese si trova oggi ad operare – è il commento dell’istituto –, deve essere compresa e contrastata con tutti i mezzi possibili. Il primo passo da compiere è una presa d’atto che le difficoltà di approvvigionamento non riguardano solo i materiali (la “shortage economy”). Nello scenario attuale si rilevano altri tipi di penuria che possono minare la crescita del nostro Paese. Nella tavola 1 si riporta uno schema dei fattori di rischio connessi a situazioni di scarsità. Tutti i rischi di natura socio-economica che avevamo paventato durante la pandemia (il crollo dei consumi, la chiusura delle imprese, i fallimenti, i licenziamenti, la povertà diffusa) vengono oggi sostituiti da altre paure, in gran parte coincidenti con il rischio di non essere in grado di alimentare la ripresa, di beneficiarne a fondo e per un lungo periodo, di “sprecare” la crisi, di inciampare in vecchi ostacoli mai rimossi o in altri che si parano innanzi all’improvviso, tanto più insidiosi quanto più la nostra rincorsa si dimostrerà veloce».

 

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