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Guerra in Ucraina, quali effetti sull’economia italiana?

Il conflitto introduce (di nuovo) un clima di incertezza e innesca un ulteriore aggravamento della crisi energetica

di Redazione

Che effetti avrà la guerra in Ucraina sull’economia italiana? Non è una domanda a cui si può rispondere in modo immediato, anche se alcuni effetti della crisi energetica che si è innescata prima dell’inizio del conflitto vero e proprio sono già osservabili oggi, dal caro carburante al caro bollette, senza dimenticare i rialzi dei prezzi alimentari. Il calo della produzione industriale a gennaio rilevato dall’Istat, peraltro peggiore delle attese, riguarda soprattutto il comparto dei beni di consumo, a dimostrazione di una componente, quella legata alla domanda delle famiglie, che forse guarda all’imminente futuro con maggiore sfiducia.   

A tale proposito, nella consueta nota mensile diffusa nelle scorse ore, l’Istat osserva che le prospettive per l’economia italiana a inizio anno mostravano un quadro favorevole. E a febbraio, la fiducia dei consumatori, su livelli storicamente elevati, «aveva segnato moderate correzioni, con la componente clima futuro ancora in deciso aumento». Nello stesso mese, anche la fiducia delle imprese, era cresciuta dopo il forte calo di gennaio, in particolare nelle costruzioni e nei servizi di mercato. Le forti tensioni geopolitiche hanno però modificato sostanzialmente il quadro internazionale e la possibile evoluzione dell’economia italiana. Tuttavia – sottolinea l’Istat – «la quantificazione puntuale degli effetti sulle prospettive economiche italiane della crisi geopolitica internazionale è estremamente difficile e legata all’ampia incertezza riguardante gli esiti del conflitto, per cui necessiterà di ulteriori analisi e aggiornamenti». 

«Una prima valutazione degli effetti dello shock dei prezzi energetici, stimata con il modello macroeconomico MeMo-It dell’Istat – si spiega dunque nella nota –, mostra che, a parità di altre condizioni, il Pil italiano risulterebbe inferiore di 0,7 punti percentuali rispetto a quello stimato in uno scenario base in cui le quotazioni dei beni energetici rimanessero sui livelli di inizio anno. L’attività economica verrebbe condizionata negativamente dal più basso livello dei consumi delle famiglie che si accompagnerebbe a una riduzione della propensione al risparmio. Rispetto allo scenario base risulterebbe più bassa sia l’occupazione, sia il saldo della bilancia di beni e servizi misurato in percentuale di Pil».

Secondo l’indicatore elaborato dall’Ufficio Studi Confcommercio, l’indice del disagio sociale a gennaio è sostanzialmente in linea con il dato di dicembre, facendo segnare un valore di 1,64, con un aumento di un solo decimo di punto. Come successo nei mesi recenti, la forte ripresa dell’inflazione ha vanificato gli effetti positivi prodotti dal miglioramento del mercato del lavoro e «sembra molto probabile, anche in virtù degli attuali scenari internazionali – segnala in questo caso Confcommercio –, un peggioramento dell’indicatore nei prossimi mesi». 

A gennaio 2022 il tasso di disoccupazione ufficiale si è attestato all’8,8%, in diminuzione di due decimi di punto su dicembre, il livello più basso dalla fine del 2011. Nello stesso mese le ore autorizzate di CIG sono state oltre 62 milioni, a cui si sommano oltre 22 milioni di ore per assegni erogati dai fondi di solidarietà. Del totale delle ore autorizzate il 59,6% aveva causale Covid-19. Sono state le imprese del turismo, del commercio e dei servizi di mercato, osserva infine il Centro Studi Confcommercio, a registrare il numero più elevato delle ore autorizzate con questa causale (oltre il 64% del totale), a testimonianza che per questi settori la fase critica non è stata ancora superata. In termini di ore di CIG effettivamente utilizzate, destagionalizzate e ricondotte a ULA, si stima che questo corrisponda a 226 mila unità lavorative standard. Il combinarsi di queste dinamiche ha determinato un tasso di disoccupazione esteso pari al 10,5%.

 

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