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La competitività dei settori produttivi, tra crisi energetiche e inflazione

Nel 2022 ripresa economica rallentata dagli effetti del conflitto tra Ucraina e Russia. E le attese per il 2023 non sembrano improntate all’ottimismo

di Redazione

Nel 2022 la ripresa economica è stata rallentata dagli effetti del conflitto tra Ucraina e Russia, in particolare dall’ondata di rincari dei prezzi di materie prime energetiche, agricole e industriali che hanno avuto un riflesso importante sull’attività produttiva. E nel corso del 2022 l’andamento del fatturato dell’industria (al netto delle costruzioni) documenta tale decelerazione, che dopo il rimbalzo post-pandemico del 2021 (+22,6%), in media d’anno l’incremento in valore è stato meno accentuato (+16,9%), nonostante la spinta dal lato dei prezzi, con un evidente rallentamento nella seconda metà dell’anno (+1,8 e +0,4 la variazione su base congiunturale nel terzo e quarto trimestre, dopo il + 4,7 e +5,4% nei primi due) e una dinamica del tutto simile tra le vendite sul mercato interno ed estero (+17 e +16,8% rispettivamente). Così l’Istat nell’edizione 2023 del Rapporto sulla competitività dei settori produttivi, presentata al Politecnico di Milano oggi, martedì 4 aprile. 

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Nella dinamica del fatturato industriale osservata nel 2022, spiega allora l’Istat, emerge con evidenza il ruolo ricoperto dai beni intermedi e da quelli energetici. Questi ultimi, nel secondo trimestre, subito dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina, hanno contribuito in misura significativa alla crescita del fatturato industriale. Dopodiché, la discesa delle quotazioni si è riflessa in un modo divenuto negativo nel terzo e quarto trimestre. L’incremento relativo ai beni intermedi, in particolare, è generalmente considerato un indicatore delle condizioni di domanda nei settori a valle delle catene del valore, osserva l’Istat nel rapporto. 

Il rincaro delle quotazioni delle materie prime energetiche ha condizionato l’andamento dei listini nel comparto industriale, come già detto. Anche nella manifattura (che, ricorda l’Istituto nazionale di statistica, esclude il comparto dell’energia), tuttavia, il trasferimento dei costi energetici ha inciso sulla dinamica del fatturato, determinando incrementi medi del tutto simili a quelli dell’industria (+16,8%). Così come per altri indicatori congiunturali anche in questo caso, per cogliere i reali andamenti dell’attività produttiva, è utile guardare agli indici di volume, disponibili esclusivamente per l’insieme del comparto manifatturiero. Questi indicatori mettono in evidenza come nel 2022 la crescita in volume del fatturato, pari al 3%, sia risultata inferiore di circa 14 punti percentuali rispetto a quella misurata in termini nominali. 

Il peggioramento del quadro economico intervenuto nel corso del 2022 – aggiunge l’Istat – trova riscontro anche nelle attese delle imprese in relazione a diversi aspetti della propria attività, che mostrano come le dinamiche di indebolimento sin qui richiamate riguardino una fascia decisamente ampia del comparto manifatturiero. Nell’ultimo trimestre del 2022 il saldo tra la quota di imprese che giudicavano la propria capacità produttiva “più che sufficiente” per fare fronte alla domanda e quella con capacità sufficiente o insufficiente era pari a 16 punti percentuali, in aumento rispetto a un anno prima: tale indicazione – si legge nel rapporto –, insieme a un grado di utilizzo degli impianti sostanzialmente invariato, appare compatibile con una fase di potenziale indebolimento della domanda. Segnali di peggioramento del clima economico si ricavano, del resto, anche dai giudizi sulle condizioni di accesso al credito, che nel 2022 sono andate sensibilmente deteriorandosi: a dicembre dello stesso anno, il differenziale tra la percentuale di imprese che segnalavano un miglioramento dei rapporti con le banche e quella delle imprese che lamentavano condizioni più restrittive era negativo per oltre 34 punti percentuali (contro i circa -5 punti a dicembre 2021).

Le attese per il 2023 non sembrano orientate all’ottimismo: tra il quarto trimestre 2021 e il quarto trimestre 2022 si è osservato un progressivo diffondersi di aspettative di peggioramento del ciclo economico (il saldo tra la percentuale di chi si attende tendenze favorevoli e sfavorevoli è divenuto negativo), una tendenza confermata nei primi due mesi del 2023, sebbene con una diffusione considerevolmente inferiore (a febbraio il saldo è risultato pari a -14 punti, contro i -36,7 del quarto trimestre 2022). Lo stesso andamento si riscontra in pressoché tutti gli indicatori relativi agli aspetti dell’attività aziendale (a eccezione delle attese sulla produzione): rispetto agli ultimi mesi del 2021, l’Istat registra un vistoso deterioramento nelle attese per ordinativi, occupazione, quantità esportate, liquidità (in quest’ultimo caso nei primi mesi del 2023 il saldo è diventato negativo). Con riferimento alle aspettative sui prezzi di vendita, la quota di chi prevede di aumentarli supera ancora di quasi 20 punti percentuali quella di chi prevede di ridurli.

Sono opinioni, osserva l’Istat, che si formano in un quadro di sostanziale incertezza circa la stessa attività aziendale. Il saldo tra la quota di imprese che prevedono con difficoltà l’andamento futuro della propria attività e quella di unità che lo ritengono facilmente prevedibile è progressivamente aumentato nel corso del 2022, e a febbraio 2023 sfiorava ancora i 35 punti percentuali. Le difficoltà della fase ciclica attuale emergono anche dai segnali circa le criticità in grado di condizionare l’attività d’impresa nel primo semestre 2023: le risposte fornite a un modulo ad hoc inserito nel questionario somministrato a gennaio evidenziano una preoccupazione molto diffusa per le conseguenze dei rincari energetici (70,3% delle imprese) e per l’aumento dei prezzi dei beni intermedi (59,5%), mentre quote minori, ma non trascurabili, si registrano per i rischi di possibili interruzioni nelle catene di fornitura (28,7%) e per difficoltà di vendita sul mercato italiano (26,7%). Molto meno critici, infine, vengono considerati, nel primo semestre 2023, i problemi legati alle disponibilità finanziarie (11,9%) e al reperimento della forza lavoro (13,6%). In particolare, le segnalazioni di timori per i rincari energetici – che in tutti i settori manifatturieri, ad eccezione dell’elettronica e delle altre manifatturiere coinvolgono oltre il 60% delle imprese – raggiungono quasi il 90% nei settori del coke e raffinazione e degli altri mezzi di trasporto e superano o sfiorano l’80 per cento negli alimentari, nella farmaceutica e nella fabbricazione di prodotti da minerali non metalliferi.

Nel terziario, invece, nel 2022 l’indice del fatturato (+13,4%) è aumentato in tutti i settori, accelerando nelle attività legate al turismo e più toccate dall’emergenza pandemica: agenzie di viaggio, alloggio e ristorazione, trasporto aereo. In accelerazione anche il trasporto marittimo. Tuttavia anche nei servizi prevalgono attese di peggioramento del ciclo economico nel primo semestre 2023: preoccupano i rincari energetici, quelli dei beni intermedi (in prevalenza nel trasporto e magazzinaggio e nei servizi turistici) e il reperimento di forza lavoro adeguata (soprattutto per servizi Ict e attività legate al turismo).

 

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