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L’Italia del futuro, tra cambiamenti demografici e nel mercato del lavoro

L’importanza del sistema formativo per ridurre la dissipazione del capitale umano dei giovani

di Redazione

I cambiamenti attesi nel futuro comportano una serie di riflessioni che includano anche la prospettiva di nuovi paradigmi: sociali, economici e produttivi. Nel Rapporto annuale 2023, l’Istat ricorda, ad esempio, che gli scenari demografici più recenti mettono in luce come entro i prossimi venti anni in Italia vi sarà una riduzione consistente della popolazione in età di studio e di lavoro. Tuttavia, osserva l’Istat, la contrazione della platea di studenti può essere mitigata dalla diminuzione degli abbandoni nelle scuole secondarie superiori e da un aumento dei tassi di partecipazione all’istruzione universitaria. 

Foto di Headway su Unsplash

In entrambi i casi in Italia – prosegue l’Istat – si sono registrati progressi significativi già nell’ultimo decennio, ma la distanza dai paesi più virtuosi dell’Unione è ancora ampia, in particolare nelle regioni del Mezzogiorno. Inoltre, le maggiori criticità di queste ultime riguardano anche le competenze dei diplomati, che risultano in media più basse rispetto a quelle misurate al Centro-Nord. Quasi un quinto dei giovani tra 15 e 29 anni in Italia non lavora e non studia (il dato più elevato tra i paesi UE dopo la Romania) e fino a un terzo in Sicilia. Favorirne l’ingresso nel sistema formativo e nel mercato del lavoro – sostiene  allora l’Istituto nazionale di statistica – potrebbe contribuire a ridurre la dissipazione del capitale umano dei giovani, risorsa sempre più scarsa nel prossimo futuro. Gli effetti del calo della popolazione in età da lavoro e dell’invecchiamento sono apprezzabili già oggi. Nonostante il recente andamento favorevole dell’occupazione, l’Italia si colloca ancora all’ultimo posto in ambito europeo e, al tempo stesso, detiene il primato (dopo la Bulgaria) per l’elevata età media degli occupati. 

L’aumento dei tassi di occupazione, in particolare per i giovani e le donne, potrebbe compensare la perdita prevista nel numero di occupati per effetto della dinamica demografica e ridurre la disuguaglianza di genere nei redditi, dice ancora l’Istat. Tuttavia, tutto ciò, va contestualizzato all’interno di un quadro poco esaltante. Stando alle stime Istat, i lavoratori italiani guadagnano circa 3.700 euro l’anno in meno della media dei colleghi europei e oltre ottomila euro in meno della media di quelli tedeschi. Inoltre, rileva ancora l’Istat, nel nostro paese il meccanismo di trasmissione intergenerazionale della povertà (trappola della povertà) è più intenso che nella maggior parte dei paesi dell’Unione europea: quasi un terzo degli adulti (25-49 anni) a rischio di povertà proviene da famiglie che, quando erano ragazzi di 14 anni, versavano in una cattiva condizione finanziaria.

 

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