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Dalla scuola al lavoro, le fragilità dei giovani nel Mezzogiorno

Nonostante i progressi osservati, i dati mostrano discrepanze territoriali ancora marcate, a fronte di ritardi che investono l’intero paese. Pesa il rallentamento demografico

di Redazione

Il nostro paese si colloca ben al di sotto della media comunitaria per il peso della componente dei 18-25enni: 7,9% nel 2021 (8,6% nell’UE27), a fronte di valori più elevati in paesi di peso comparabile (Germania 8,5%; Francia 9,3%). È uno dei segnali dell’arretramento demografico osservabile da tempo in Italia, un trend che si manifesta da diversi anni, a cominciare, in particolare, dai cosiddetti “millennials”, i primi veri protagonisti di tale fenomeno. Ma come ricorda l’Istat in un focus dedicato ai giovani del Mezzogiorno di recente pubblicazione, è proprio qui che l’andamento generale appare più evidente. Qui, riferisce l’Istat, si prevede che già nel 2041 i 18-34enni scenderanno al di sotto dei tre milioni di unità.

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Negli ultimi anni, in Italia, si ricorda poi nel focus, si è assistito a una progressiva “semplificazione” nella struttura delle famiglie accanto a un’evoluzione delle tre transizioni tipiche dell’età giovanile: uscita dalla famiglia di origine; creazione di una famiglia propria (con o senza matrimonio); procreazione nell’ambito del nuovo nucleo familiare. Lo scenario più recente – spiega l’Istat – segnala come a livello comunitario, nella fascia d’età di interesse, circa un giovane su due viva ancora con i genitori. Tale quota in Italia supera i due terzi, esito di un incremento accentuato delle convivenze in famiglia, peraltro in controtendenza rispetto all’andamento generale. Nell’UE27, soltanto quattro Stati – Croazia, Grecia, Slovacchia e Portogallo; paesi interessati da bassa natalità e da un impatto profondo della Grande crisi del 2008 – presentano attualmente quote superiori all’Italia. Un primo sguardo d’insieme su alcuni selezionati indicatori ufficiali conferma – per il nostro paese – una tendenza in atto a procrastinare le transizioni familiari. Il processo è più pronunciato tra le componenti giovanili del Mezzogiorno, dove le coorti più recenti di 18-34enni presentano una più diffusa propensione alla permanenza nella famiglia d’origine (soprattutto tra i maschi: 79,4%; femmine 65,9%), sia rispetto alle precedenti generazioni di coetanei di questi stessi territori, sia rispetto al Centro e soprattutto al Nord Italia.

Dal quadro emerge dunque uno scenario all’incirca già noto, ma certificato dai dati. I ritardi che riguardano l’Italia nel complesso possono manifestarsi nel Mezzogiorno in maniera più vistosa. Si prendano due elementi, soprattutto: la scuola e il lavoro.

Il XX secolo – spiega l’Istat – si è caratterizzato per una progressiva espansione del sistema scolastico italiano. A partire dagli anni Sessanta si è registrata una graduale estensione dei percorsi formativi degli individui e un conseguente incremento dei livelli di istruzione, particolarmente tra le giovani donne. Malgrado i progressi compiuti, il nostro paese continua a evidenziare ritardi piuttosto rilevanti, collocandosi da tempo in fondo alla graduatoria europea per livello d’istruzione. Nella popolazione giovanile persiste una componente con bassa istruzione (titoli inferiori al diploma secondario) più consistente della media UE27 (16,8% contro 15,1%), che colloca l’Italia tra i primi cinque paesi per numero di giovani in questa condizione. All’opposto, l’Italia è fra le cinque posizioni di coda nell’UE per quota di istruzione terziaria (21,7% contro 30,3%), nonché fra i primi paesi Ocse in cui fra i 25-34enni tale livello resta meno diffuso rispetto a quello secondario superiore o post-secondario non terziario. Nel Mezzogiorno, sull’istruzione, persiste un quadro di arretratezza e la popolazione resta mediamente meno istruita, afferma l’Istat. Tuttavia, l’andamento dei livelli di istruzione in chiave generazionale, consente di apprezzare progressi significativi e generalizzati. I “millennials e post-millennials” (nati fra il 1987 e il 1996) risultano di gran lunga più istruiti rispetto alle generazioni precedenti. In particolare, nel Mezzogiorno la quota di bassa istruzione appare in visibile decremento (24,4%; era il 41,5% nella generazione precedente) mentre quella terziaria coinvolge ormai oltre un quarto della coorte di riferimento, pur evidenziando uno scarto ancora importante rispetto al Centro-nord (27,8% contro 32,9%). Pertanto, aggiunge ancora l’Istituto nazionale di statistica, sebbene la quota di giovani in possesso di un’istruzione terziaria resti al di sotto della media UE (41,2% dei 25-34enni nel 2021) e lontana dall’obiettivo del 45% per il 2030, nelle ultime generazioni si riscontrano progressi visibili. Nel Mezzogiorno resta un gap col resto del paese, che appare più marcato per le giovani donne di questi territori rispetto alle coetanee del Centro-nord, sia nella bassa istruzione (22,3%; 16,5% nel Centro-nord) che nel livello terziario (24,4% contro 29,4%). Tuttavia, accanto a una notevole e generalizzata riduzione della componente meno qualificata, è soprattutto fra le giovani donne di Sud e Isole che si registra un miglioramento notevole, in particolare nei livelli di istruzione terziaria.

Per quanto riguarda infine il mercato del lavoro, quello italiano negli ultimi anni ha risentito degli effetti strutturali di una lunga fase di stagnazione economica cui si sono succedute in rapida sequenza le ripercussioni critiche di due eventi di portata storica. L’Istat fa riferimento alla Grande crisi del 2008 – che ha avuto effetti protratti fino almeno al 2015 – e la pandemia da Covid-19. Entrambi i fenomeni hanno inciso sugli squilibri territoriali del mercato del lavoro, che interessano soprattutto i giovani del Mezzogiorno. Nel 2022 il tasso di occupazione rilevato fra i giovani italiani (33,8%) è di 15,4 punti inferiore rispetto alla media UE27, collocando l’Italia nella penultima posizione – prima della sola Grecia – per quota di occupati sulla popolazione 15-29 anni. Tale parametro risulta invariato su base decennale (era del 33,8% anche nel 2010), arco di tempo in cui il divario con l’Europa si è ampliato (era -11,7). Inoltre, nel 2022 l’Italia presenta un numero di giovani disoccupati relativamente consistente, pari al 18% del totale, che la colloca nei primi posti della tutt’altro che gratificante graduatoria (terza dopo Grecia e Spagna). In questo caso, il trend discendente su base decennale (-2,6%) è stato inferiore a quello medio UE (-6,2%). I principali divari nel mercato del lavoro restano piuttosto marcati. Il tasso di occupazione generale nel 2022 è del 60% circa, più basso nella popolazione giovanile (15-34 anni: 43,7%) e tra le donne (51,1%). Nel Mezzogiorno, ricorda ancora l’Istat, risulta occupato il 46,7% delle forze di lavoro complessive, in leggera crescita ma con oltre 13 punti in meno della media nazionale, oltre 21 dal Nord e 18 dal Centro Italia. Il tasso di disoccupazione medio nazionale è dell’8,1%, aumenta visibilmente tra i giovani (14,4%) e nel Mezzogiorno – nonostante una riduzione – resta su valori molto elevati (14,3%). Divari territoriali significativi si riscontrano anche nel tasso di inattività, che peraltro nel 2022 fa registrare una riduzione particolarmente modesta, soprattutto nella ripartizione meridionale.

 

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