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La paternità in Italia (e l’invecchiamento della popolazione)

Sono molteplici le conseguenze, sul piano demografico ed economico, dell’età più avanzata in cui si diventa genitori. Ma demografia ed economia pesano anche sulle cause di tali decisioni

di Redazione

In Italia si diventa padri a 36 anni, o giù di lì. E il fattore età di padri e madri è determinante nella conformazione della struttura demografica di un paese. Secondo alcune statistiche comparse in queste ore, in occasione della giornata in cui si celebra la Festa del papà, la situazione in altri paesi europei va meglio (ma non troppo): in Francia si diventa padri mediamente a 33,9 anni, in Germania a 33,2. Stando ai dati Istat – l’anno di riferimento è il 2021 – la media che si registra nel paese è pari a 35,79, che si ripete all’incirca – oscillando qua e là di pochi decimali – su tutte le ripartizioni territoriali. Per dare alcuni parametri, nel 1999 l’età media del padre alla nascita del figlio era di 34,16 anni (l’inversione di rotta era già molto evidente, considerando che all’inizio degli anni ‘90 l’età media si attestava su valori parecchio più bassi), nel 2005 era aumentata a 34,63, mentre nel 2015 si era ormai a 35,26 anni, mostrando dunque un trend crescente. 

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Le ragioni dell’invecchiamento di padri e madri sono note e riguardano problemi strutturali che l’Italia si trascina da tempo: retribuzione basse, politiche di sostegno alla natalità e di conciliazione relativamente scarse o assenti (il tema dei congedi parentali resta uno dei più stringenti). Per dirla altrimenti, le difficoltà economiche, lavorative e occupazionali, oltre che organizzative, si ripercuotono (anche) sullo sviluppo delle famiglie.

Sul piano demografico le conseguenze di un tale andamento potranno rivelarsi complicate nel lungo periodo. Così scrive l’Istat nel report Il Paese domani: una popolazione più piccola, più eterogenea e con più differenze (settembre 2023): «Nell’ipotesi più favorevole la popolazione potrebbe subire una perdita di “soli” 6,2 milioni tra il 2022 e il 2080, di cui 2,5 milioni già entro il 2050. Nel caso meno propizio, invece, il calo di popolazione sfiorerebbe i 20 milioni di individui tra oggi e il 2080, 6,8 milioni dei quali già all’orizzonte del 2050. Sembra inevitabile, quindi, che la popolazione diminuirà, pur a fronte di evidenze numeriche profondamente diverse, una dall’altra, che richiamano nell’immagine scenari non solo demografici, ma anche sociali ed economici di impatto altrettanto diverso».

«Nel 2050 – è l’osservazione dell’Istat – le persone di 65 anni e più potrebbero rappresentare il 34,5% del totale secondo lo scenario mediano, mentre l’intervallo di confidenza al 90% presenta un minimo del 33,2% e un massimo del 35,8%. Comunque vadano le cose, l’impatto sulle politiche di protezione sociale sarà importante, dovendo fronteggiare fabbisogni per una quota crescente di anziani. I giovani fino a 14 anni di età, sebbene nello scenario mediano si preveda una fecondità in parziale recupero, potrebbero rappresentare entro il 2050 l’11,2% del totale, registrando una moderata flessione in senso relativo ma non in assoluto. Infatti, sul piano dei rapporti intergenerazionali si presenterà un rapporto squilibrato tra ultrasessantacinquenni e ragazzi, in misura di oltre tre a uno. A contribuire alla crescita assoluta e relativa della popolazione anziana concorrerà soprattutto il transito delle folte generazioni degli anni del baby boom (nati negli anni ’60 e prima metà dei ’70) tra le età adulte e senili, con concomitante riduzione della popolazione in età lavorativa. Nei prossimi trent’anni, infatti, la popolazione di 15-64 anni scenderebbe al 54,3% in base allo scenario mediano, con una forchetta potenziale compresa tra il 53,2% e il 55,4%. Come per la popolazione anziana, quindi, anche qui si prospetta un quadro evolutivo certo, con potenziali ricadute sul mercato del lavoro e sul come assicurare il livello di welfare necessario al paese».

Inoltre nel giro di venti anni, l’Istat riporta che si prevede un aumento di oltre 850 mila famiglie: da 25,3 milioni nel 2022 si arriverebbe a 26,2 milioni nel 2042 (+3,4%). Ma si tratta di famiglie sempre più piccole, caratterizzate da una maggiore frammentazione, il cui numero medio di componenti scenderà da 2,32 persone nel 2022 a 2,13. Anche le famiglie con almeno un nucleo (cioè contraddistinte dalla presenza di almeno una relazione di coppia o di tipo genitore-figlio) varieranno la loro dimensione media da 2,95 a 2,78 componenti.

L’aumento del numero di famiglie, dunque, deriverà prevalentemente da una crescita delle famiglie senza nuclei (+17%) che salgono da nove a 10,6 milioni, arrivando a rappresentare nel 2042 oltre il 40% delle famiglie totali. Al contrario, sottolinea ancora l’Istat, le famiglie con almeno un nucleo presentano una diminuzione di oltre il 4%. Queste famiglie, oggi pari a 16,3 milioni (il 64,3% del totale), nel 2042 scenderanno a 15,6 milioni, costituendo così solo il 59,5% delle famiglie.

 

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