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Il settore delle costruzioni è ancora in sofferenza

Pochi investimenti e bassi livelli occupazionali, nonostante la risalita economica osservata negli ultimi anni. Ad oggi sono 620 mila i posti di lavoro andati in fumo

di Redazione

In una fase di dibattito su investimenti, grandi opere e infrastrutture, fa un certo scalpore l’allarme lanciato soltanto pochi gioni fa dall’Ance (Associazione nazionale costruttori edili) nell’ultimo Osservatorio congiunturale sull’industria delle costruzioni. Sono 620 mila, infatti, i posti andati in fumo nel settore dall’inizio della crisi. Un trend che sembra peraltro non volersi arrestare: «Nelle costruzioni – rileva l’Istat con riferimento il mese di febbraio , il deterioramento del clima di fiducia riflette un deciso ridimensionamento delle aspettative sull’occupazione presso l’impresa e una stabilità, rispetto allo scorso mese, dei giudizi sugli ordini». Invece sono 120 mila, afferma di nuovo l’Ance, le imprese che hanno chiuso.

L’economia italiana è in rallentamento – l’Istat lo ha ribadito oggi, venerdì 1 marzo – e «la frenata del Pil – osserva l’Istat – ha origini sia globali, sia interne (quadro regolatorio dei contratti pubblici che provoca forti rallentamenti nelle scelte pubbliche d’investimento, incertezza che frena le scelte d’investimento degli operatori privati, tensioni sui mercati finanziari, legati all’andamento dello spread sui titoli di Stato e alle incertezze sull’operatività del sistema finanziario), rispetto alle quali appaiono deboli le risposte offerte dalla manovra di bilancio per il 2019». E in tale contesto a mancare è stato proprio l’apporto del settore delle costruzioni.

Un paradosso, per certi versi. Perché in termini di investimenti, il settore continua a offrire un contributo rilevante, rappresentando l’8% del Pil italiano. Inoltre, in virtù della sua lunga e complessa filiera, che collega le costruzioni a oltre il 90% dei settori economici, la crescita del settore delle costruzioni permetterebbe al Paese di recuperare mezzo punto di Pil l’anno e di tornare in breve tempo a una crescita in linea con quella degli altri Paesi UE.

I bassi livelli occupazionali non hanno risparmiato neppure il 2018 e i dati non danno ancora evidenza di una ripresa, che al contrario in altri settori è stata più marcata. Nei primi nove mesi del 2018, secondo dati Istat, si registra una nuova riduzione dell’1,5% nel numero di occupati nel confronto con lo stesso periodo del 2017, che vanifica il primo lieve e timido segnale positivo registrato nel 2017 (+0,9%).

 

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