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Competenze e livelli di istruzione elevati per “governare” l’innovazione

In Italia, però, abbiamo i valori più bassi di quelli medi europei. Il nostro paese è il penultimo nell’UE per giovani laureati

di Redazione

«L’innovazione non è nemica del lavoro». A dirlo è stato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione oggi, martedì 16 luglio, della cerimonia di inaugurazione del nuovo Hub per l’e-commerce di Poste Italiane, in provincia di Bologna. Tornando a spulciare alcuni dati contenuti nell’ultimo Rapporto Italia dell’Eurispes, si scopre che tra i disagi sul lavoro più frequenti figura, nel 38,6% dei casi, l’assenza di stimoli professionali. Come scovarli? L’innovazione può (e deve) essere d’aiuto. Le parole di Mattarella trovano conferme nei tanti studi – italiani e internazionali – condotti al riguardo, pur con con le dovute riflessioni sui potenziali rischi.

Macchine avanzate, robot e intelligenza artificiale sostituiranno, soprattutto, proprio le mansioni più ripetitive, che non prevedono particolari qualifiche o competenze. Questo non vuol dire, tuttavia, che gli altri lavoratori siano al sicuro e garantiti. L’innovazione, per dirla altrimenti, deve essere governata. E per riuscire in questa sfida, la formazione rappresenta un viatico fondamentale. A tale proposito i recenti dati Istat sui livelli di istruzione e ritorni occupazionali relativi all’anno 2018 sono uno spunto di riflessione inteteressante.

Il vantaggio occupazionale dei laureati è decisamente in crescita, afferma l’Istituto nazionale di statistica. Per rendere meglio l’idea: il tasso di occupazione dei 30-34enni laureati si attesta al 78,4% contro il 69,5% dei diplomati (mentre è al 33,6% il tasso di occupazione dei 18-24enni che abbandonano precocemente gli studi).

In Italia, però, abbiamo il livello di istruzione più basso di quello medio europeo. La quota di popolazione di 25-64 anni con almeno un titolo di studio secondario superiore – spiega l’Istat – è il principale indicatore per valutare il livello di istruzione formale conseguito in un paese. Questo perché il diploma è considerato il livello minimo indispensabile per acquisire le competenze di base richieste nella società attuale e, ragionevolmente, anche nella futura. In Italia, la quota di 25-64enni in possesso di almeno un titolo di studio secondario superiore è stimata pari a 61,7% nel 2018 (+0,8 punti percentuali sul 2017), un valore molto inferiore a quello medio europeo, pari a 78,1% (+0,6 punti sul 2017). Su questa differenza incide la bassa quota di 25-64enni con un titolo di studio terziario: meno di due su dieci in Italia (19,3%, +0,6 punti rispetto all’anno precedente) contro oltre tre su dieci in Europa (32,3%, +0,8 punti rispetto all’anno precedente). Il trend degli ultimi anni è positivo, ma tra il 2014 e il 2018 la quota di popolazione con laurea ha avuto una crescita più contenuta di quella UE (2,4 punti contro tre punti).

Il divario nei livelli di istruzione è molto ampio guardando la cittadinanza delle persone. Tra gli stranieri solo il 47,9% ha conseguito almeno il diploma di scuola secondaria superiore (o equivalente) e soltanto il 12,4% possiede un titolo terziario, a fronte del 63,3% e del 20,1% registrato tra gli italiani. Il gap di cittadinanza è grande anche in Europa, soprattutto in Francia e Germania. Fanno eccezione il Regno Unito, dove il livello di istruzione degli stranieri è superiore a quello dei cittadini inglesi, e la Spagna, che presenta quote di cittadini almeno diplomati piuttosto simili tra stranieri e locali. A differenza di quanto accaduto in altri paesi europei, in Italia questo divario è cresciuto nel tempo. Restringendo l’osservazione all’ultimo quadriennio, la quota di coloro con almeno il titolo secondario superiore si è molto ridotta tra gli stranieri (-5,3 punti; +0,7 punti nella media Ue) e al tempo stesso è aumentata di poco la quota di chi ha un titolo terziario (+0,9 punti; +2,2 punti nella media UE).

Le differenze generazionali nei livelli di istruzione sono evidenti da molti punti di vista, evidenzia ancora l’Istat. Sicuramente i più giovani sono anche i più istruiti: si consideri ad esempio che il 75,9% dei 25-34enni ha almeno il diploma di scuola secondaria superiore contro il 47,9% dei 60-64enni. Rimane tuttavia forte, anche tra le classi di età più giovani, lo svantaggio dell’Italia rispetto al resto d’Europa come pure il divario territoriale all’interno del paese.

«Questi dati – osserva l’Istat – mettono in luce la permanenza di una forte criticità nel raggiungere l’obiettivo di portare tutti i giovani a conseguire adeguati livelli di istruzione e, di conseguenza, nel garantire pari opportunità di accesso a buone condizioni sociali e professionali». L’Italia, poi, è penultima tra i paesi dell’Unione per giovani laureati. E a tale proposito va ricordato che il secondo target relativo all’istruzione della strategia Europa2020 riguarda l’innalzamento al 40% della quota di 30-34enni in possesso di un titolo di studio terziario (obiettivo già raggiunto a livello UE, mentre in Italia il valore arriva al 27,8%). L’obiettivo è giudicato fondamentale nella “società della conoscenza”, per stimolare la crescita economica e rendere compatibile crescita e inclusione sociale.

 

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