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Perché le criptovalute sono finite nell’occhio del ciclone

La volatilità mostrata negli ultimi tempi dalle monete virtuali sta facendo crescere la necessità di una regolamentazione che tuteli gli investitori. La Cina ha fatto un primo passo per correre ai ripari, in Europa e in America si sta pensando ad una soluzione 

di Matteo Buttaroni

Il Bitcoin è finito al centro del ciclone negli ultimi giorni, e con esso anche le altre criptovalute, comportandone un crollo delle quotazioni. Tutto è iniziato, come è successo altre volte, in seguito ad una decisione presa dall’eccentrico magnate Elon Musk e comunicata con il megafono di internet: in un tweet il Ceo di Tesla ha annunciato che la casa automobilistica non avrebbe più accettato pagamenti in Bitcoin fino a quando non saranno prodotti usando meno combustibili fossili. 

Di conseguenza il valore di un singolo Bitcoin è scivolato da circa 50 mila dollari (un valore a cui era arrivato dopo aver macinato record su record proprio dopo la decisione di Tesla di accettarli come forma di pagamento) a circa 30-35mila. Una curiosità: il giorno prima dell’annuncio della decisione di non accettare più Bitcoin come forma di pagamento, Musk fece un sondaggio, sempre su Twitter, chiedendo ai suoi follower un parere riguardo l’utilizzo di Dogecoin (una criptovaluta minore, nata quasi per scherzo nel 2013 e che oggi, con 50 miliardi di capitalizzazione, figura nella Top 5 delle monete virtuali) come forma di pagamento, ottenendo il 78% di giudizi positivi. In seguito al sondaggio la moneta virtuale registrò una crescita record, salvo poi crollare insieme alle altre monete virtuali nell’arco degli ultimi giorni.

Un altro fattore che ha concorso a far scendere le valutazioni è stata la linea dura ribadita dalla Cina. In particolare la PboC ha di fatto vietato alle istituzioni finanziarie del paese di fornire servizi legati alle transazioni in criptovalute per via della volatilità degli strumenti. In una nota pubblicata congiuntamente le tre associazioni finanziarie China Internet Finance Association, China Banking Association e China Payment and Clearing Association hanno osservato come «di recente i valori delle criptovalute sono schizzati e crollati e il trading speculativo è ripreso, infrangendo la sicurezza delle proprietà delle persone e interrompendo il normale ordine economico e finanziario» e che di conseguenza, come stabilito dalla PboC «non devono fornire ai clienti direttamente o indirettamente altri servizi relativi alle valute virtuali».

Recentemente anche la Consob e la Banca D’Italia hanno lanciato un monito agli investitori «sugli elevati rischi connessi con l’operatività in cripto-attività (crypto-asset) che possono comportare la perdita integrale delle somme di denaro utilizzate» e così hanno fatto anche  l’Eba, l’Esma ed l’Eiopa, le tre autorità di supervisione europee. 

In attesa di una regolamentazione europea, auspicata anche da Bankitalia e da Consob, che segnalano come «l’acquisto di cripto-attività non sia soggetto alle norme in materia di trasparenza dei prodotti bancari e dei servizi di investimento e continua a essere sprovvisto di specifiche forme di tutela; segnatamente dette attività non sono soggette a nessuna forma di supervisione o di controllo da parte delle Autorità di vigilanza», una stretta è pervenuta anche dal Tesoro statunitense, secondo il quale le «criptovalute pongono significativi problemi di tracciamento in quanto facilitano l’attività illegale, inclusa l’evasione fiscale». In particolare il dipartimento del Tesoro americano ha proposto di far segnalare all’Internatioan Revenue Service – l’Agenzia delle entrate statunitense – tutti i trasferimenti in criprtovalute superiori ai 10 mila dollari.    

 

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