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Il futuro è adesso, nell’anno 2012

A differenza di tanti altri giornali abbiamo evitato in questo scorcio di inizio anno particolari voli pindarici su ciò che ci attende nel 2012. Non per distinguerci, ad essere sinceri, molto più semplicemente perché abbiamo preferito ricominciare a raccontare, senza troppi fronzoli e lasciando da parte lambiccamenti vari sulle improbabili profezie Maya, la realtà che ci circonda. Di previsioni ne abbiamo fatte anche noi, ma a fornire delle cifre abbiamo provveduto allo scadere del 2011. Del resto le stime apparivano già prima delle feste piuttosto chiare: l’Italia è in recessione.
Ora, c’è da capire – questo sì – quali saranno le conseguenze, ancora tutte da verificare, della recessione. A quei numeri potremmo aggiungere le 230 vertenze aperte al ministero dello Sviluppo economico (che riguardano 40 mila lavoratori) e i 300 mila posti a rischio di cui hanno riferito i media. Dal 2008 al 2013 – ha confermato non a caso Confindustria – saranno 800 mila i disoccupati in più. O ancora le ultime rilevazioni dell’Istat che hanno evidenziato un nuovo record della disoccupazione giovanile, considerata la fascia di età tra i 15 e i 24 anni, salita a novembre al 30,1%. (+0,9% rispetto al mese precedente e +1,4% su base annua). Vale a dire il tasso più alto da gennaio 2004.
Appare evidente come non ci sia ampio margine per le trattative. Scriveva il 24 dicembre il direttore de La Stampa, Mario Calabresi: “Come tutti quelli che non hanno niente da perdere perché sono già stati dati per persi, il 2012 potrebbe riservarci invece delle sorprese e stupirci. Prima di tutto perché in un anno che parte dichiaratamente all’insegna delle difficoltà saremo costretti a prendere delle decisioni, personali e collettive”.
Sono parole corroborate dai fatti. L’Europa è chiamata a decisioni importanti al fine di evitare la scomparsa della moneta unica. Gli Stati Uniti – che negli ultimi tempi avranno perso un po’ del loro peso specifico, ma la cui influenza internazionale resta inconfutabile – si apprestano a votare la loro guida per i successivi quattro anni in uno scenario globale che va sempre più mutando.
E l’Italia? Naturalmente è la nostra osservata speciale. Ai sacrifici – reiterati, spiegati, compresi – dovranno ora seguire i provvedimenti volti alla crescita e allo sviluppo. Fase due? Chiamatela come volete, ma questo dovrà essere. Senza se e senza ma. Non trascurando, inoltre, i cambiamenti sociali e demografici che il nostro Paese sta attraversando come evidenziato non molte settimane fa sempre dall’Istat. E magari non trascurando neppure quei temi che fanno notizia solo al cospetto di morti violente quali la sicurezza sul lavoro e l’emergenza carceri. Al riguardo possiamo osservare che i buoni propositi sono stati già evidenziati e annunciati. È un inizio, ma pretendiamo concretezza.
Per banale che sia c’è molto da fare e il tempo a disposizione è davvero poco, a meno che non si voglia correre il rischio di buttare al vento quanto si è contribuito a costruire finora. Ma su questo, francamente, nutriamo qualche dubbio.
Ora o mai più. Il futuro è adesso.

 

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