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Taxi, prendere o imprendere?

di Mario Piccirillo

La botte piena, la moglie ubriaca, l’amante arrapata, un paio di milioni in banconote di piccolo taglio, e un elicottero sul tetto. I tassisti non chiedono, prendono. Non protestano, rompono. E ottengono. Siedono al tavolo col governo, conquistandosi la seggiola bloccando le città, aggredendo i colleghi “crumiri” che vogliono lavorare, svilendo il concetto di sciopero. Del gradimento popolare se ne fregano: solo Schettino ed Equitalia stanno peggio. Eppure, eccoli lì. Con la loro bozza di finta liberalizzazione pronta a passare nel Consiglio dei Ministri di domani. Forti della paradossale accondiscendenza trasversale della politica. Uno strambo coro unanime, proprio: “Perché le liberalizzazioni devono cominciare dai tassisti?” E perché no? Di Pietro dice che “sono poveri cristi”. E loro s’incazzano se qualcuno osa definirli lobby. Il tassista che ha scritto a T-Mag spiegando le ragioni della catogoria lamenta i costi vivi che sono costretti a sostenere (benzina, usura auto ecc…), le ferie e le malattie non pagate. Dice che la licenza è “la nostra liquidazione”, che non gli viene riconosciuta. “Ci viene proposto – scrive – di acquisire una licenza bis per ogni licenza così da ottomila, solo a Roma, diventeremo 16.000. Assurdo!”.
E’ così faticoso, per un tassista, prendere coscienza di essere un imprenditore? Investire (la licenza, la benzina, la macchina) per guadagnare si chiama rischio d’impresa. Come tutti i liberi professionisti hanno la possibilità di vivere dichiarando 600 euro al mese, sempre che non li becchi la finanza.
Non puoi giocare a fare il dipendente quando si tratta di diritti e l’imprenditore quando si parla di doveri. Mercanteggiare licenze statali sfruttandone il numero chiuso è operazione lecita, ma mica dovuta. Se lo Stato decide di raddoppiare le licenze perché il trasporto pubblico ne bisogna, che diritto ha il tassista-imprenditore di protestare? E con quei modi, poi. Non c’è categoria che possa permettersi di creare macelli del genere mentre i tassisti stanno lì a pascolare rabbia.
La cosa più assurda è che il governo non avrebbe deciso di riversare sul “mercato” tonnellate di licenze (abbassando fatalamente il valore di quelle già esistenti). No. L’incremento delle licenze sarebbe compensato attribuendo le nuove a chi già le detiene, lasciando poi la libertà di venderle o affittarle. E’ un abuso? O è un’opportunità? Prendere o imprendere?

Mario Piccirillo è giornalista dell’agenzia Dire e ha un blog, qui.

 

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