Contratti a progetto e partite Iva: la chimera del posto fisso
Mentre il presidente della Bce Mario Draghi, intervistato dal Wall Street Journal la scorsa settimana, annoverava la riforma del mercato del lavoro tra quelle necessarie ai Paesi dell’Ue per superare la crisi, la sensazione era che facesse particolare riferimento proprio all’Italia.
Lo si poteva intuire leggendo tra le righe il suo intervento: “In alcuni Stati bisogna rendere il mercato del lavoro più flessibile e più giusto di quanto non lo sia oggi. In questi Paesi, c’è un mercato duale: altamente flessibile per la parte più giovane della popolazione, con contratti a tre o sei mesi che possono essere rinnovati per anni. Lo stesso mercato del lavoro è però altamente rigido per la parte protetta dalla popolazione, i cui salari seguono l’anzianità piuttosto che la produttività. I mercati del lavoro al momento sono iniqui perché fanno gravare tutto il peso della flessibilità sui giovani”.
Che il riferimento fosse rivolto, con ogni probabilità, al nostro Paese è facilmente documentabile. L’Ocse, nel suo ultimo rapporto sul tema, ha segnalato che l’Italia presenta un tasso di precarietà superiore rispetto agli altri Paesi europei. E nel Rapporto sulla coesione sociale l’Istat ha censito, per così dire, quasi due milioni di precari tra co.co.pro e partite Iva. E spesso svolgere un doppio lavoro è impossibile poiché chi ha contratti a progetto lavora in esclusiva per un unico committente al quale sono tenuti a comunicare ferie e malattie. Né più né meno come i dipendenti, ma in uno stato di “flessibilità” tale che il rapporto di lavoro può essere risolto con 30 giorni di preavviso e senza motivazione alcuna.
Sono 46 le tipologie contrattuali vigenti. Eppure gli sbocchi lavorativi sono alquanto limitati e perciò il mercato risulta paralizzato. Le partite Iva, riferisce il ministero dell’Economia, nei primi otto mesi del 2011 sono aumentate del 57% e solo in pochi casi sono persone che decidono di mettersi in proprio. I lavoratori a cottimo in Italia sono 450 mila.
L’Ocse ha suggerito all’Italia di “ammorbidire le tutele sui contratti standard” con “una riforma welfare per migliorare la rete di sicurezza per i disoccupati”.
F. G.