Come sono andate le elezioni in Serbia
La domenica elettorale in giro per l’Europa (il ballottaggio presidenziale francese, le elezioni politiche greche, le amministrative italiane e le regionali tedesche nello Schleswig – Holstein) ha coinvolto anche la Serbia, chiamata alle urne per le elezioni presidenziali (anticipate), per quelle politiche e anche per le amministrative: una sorta di election day di primaria importanza per un Paese alle prese con il processo d’integrazione in vista dell’ingresso nell’Unione europea, traguardo impensabile solo pochi anni fa, quando, sotto la presidenza dell’”orso” Milosevic, la Serbia era diventata il “buco nero” d’Europa.
Si sfidano (come sempre) tanto per le presidenziali, quanto per le legislative, i due principali partiti: i moderati riformisti (e filo-europeisti) del presidente uscente Boris Tadic (Partito Democratico), alla ricerca del suo terzo mandato consecutivo, ed i nazionalisti di Tomislav Nikolic (Partito del Progresso). I candidati alle presidenziali sono dodici, ma è chiaro che la sfida effettiva sarà (come di consueto) tra loro due, che si affronteranno nel decisivo ballottaggio del 20 maggio.
Partiamo dai risultati delle presidenziali: dopo un testa a testa protrattosi per ore, risulta in vantaggio, a seguito del primo turno, il Presidente uscente Tadic, al 26%, il quale precede di pochissimo lo sfidante Nikolic, al 25%. Quasi il 50% va agli altri dieci candidati, tra i quali emerge d’impeto il Ministro dell’Interno, Ivica Dacic, socialista e fino ad ora alleato di Tadic, con una percentuale attorno al 16.
Non molto dissimile, ma a parti invertite, la situazione per il voto parlamentare: al Partito del Progresso (nazionalisti) il 23% e la maggioranza relativa; segue a ruota il Partito Democratico che ottiene il 22%, e poi gli altri partiti; anche in questo caso, terzo posto per i Socialisti di Dacic, al 16%.
Per formare il Governo, si dovrà arrivare ad una coalizione: in questo il Partito Democratico del Presidente Tadic è favorito, riscontrando maggiori possibilità di trovare Partiti disposti ad allearsi, rispetto a quanto non ne abbiano i nazionalisti di Nikolic, ma nulla si deciderà prima dell’esito delle presidenziali.
Tornando alle presidenziali, in vista del ballottaggio che si terrà tra due settimane, resta favorito Tadic, la cui terza elezione consecutiva vedrà il proseguimento del cammino verso l’approdo europeo.
Nel giorno di un voto che, da Atene a Parigi, sconquassa la Ue, le notizie che arrivano da Belgrado rappresentano un contentino per Bruxelles. Il voto francese e soprattutto quello greco (e se vogliamo anche i risultati delle amministrative italiane) sono un secco no all’attuale impostazione della politica economica comunitaria; a dire il vero, l’eco del voto di Atene sembra mostrare un’opinione pubblica greca contraria non più soltanto alla politica economica europea, ma alla Ue in quanto tale.
La Serbia, che al momento non è membro dell’Unione europea, risultati elettorali alla mano, vorrebbe diventarlo; la Grecia, al contrario, sembra, sempre in base ai risultati elettorali, volerne addirittura uscire. E non solo la Grecia: come si spiegherebbe altrimenti il 18% per Marine Le Pen, o il successo dell’estrema destra olandese?
Un paradosso dunque: chi non vi appartiene, guarda all’integrazione comunitaria come ad un modello; chi ne è dentro, si sente “soffocare” da condizioni forse troppo stringenti; è certo che, dopo questa primavera elettorale, qualcosa dovrà cambiare dalle parti di Bruxelles e dintorni, altrimenti anche i Paesi che (come la Serbia, ma anche la vicina Croazia, dove un referendum qualche mese fa ha sancito la volontà di adesione dei cittadini all’Unione Europea) continuano a credere all’Europa, potrebbero disamorarsene assai presto.