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Il decreto sulla spending review

di Antonio Caputo

Approvato dal governo, nel Consiglio dei ministri in seduta notturna, il corposo decreto sulla spending review, che contiene numerose novità che vanno ad incidere sulla struttura della spesa pubblica in vari comparti. I risparmi previsti ammonteranno a 4,5 miliardi di euro già per quest’anno, per salire a 10,5 miliardi l’anno prossimo, fino ad arrivare a quota 11 miliardi nel 2014.
E’, quello approvato, il secondo decreto sulla spending review, dopo quello appena convertito in legge dal Parlamento ed un terzo decreto è in programma per le prossime settimane, e sarà relativo alla revisione della spesa pubblica per contributi e agevolazioni.
Pubblico impiego, acquisti e affitti della pubblica amministrazione, sanità, enti locali, i settori toccati, ma anche provvedimenti su giustizia ed esodati. I tagli serviranno ad evitare l’aumento IVA di due punti previsto tra tre mesi e che slitterà (ridotto ad un punto) a luglio 2013 e a fornire la copertura per altri 55.000 esodati.
Scure sui dipendenti ministeriali: taglio del 20% ai dirigenti e del 10% al personale; chi avrà maturato, entro il 2014, i requisiti per la pensione antecedenti alla riforma Fornero, andrà in pensione; per gli altri in sovrannumero, scatterà la mobilità (con riduzione del 20% dello stipendio) per due anni, al termine dei quali scatterà il licenziamento. I buoni pasto avranno, da ottobre, un valore massimo di 7 euro.
Riguardo agli acquisti di beni e servizi, le amministrazioni possono rescindere contratti di lungo periodo troppo onerosi; si rafforzerà il meccanismo di centralizzazione degli acquisti, e saranno rinegoziati gli affitti pagati dello Stato, in misura del 15%; si accelera inoltre la vendita degli alloggi della Difesa. Taglio del 50% dei fondi relativi al parco macchine, e divieto di consulenze per i dipendenti pubblici che andranno in pensione; stretta sulle società pubbliche: i componenti dei CdA non potranno esser più di tre.
Sulla sanità, escluso il taglio dei piccoli ospedali paventato in un primo momento: toccherà alle Regioni riorganizzare la rete ospedaliera sul territorio. Verranno rinegoziati i contratti per l’acquisto di beni e servizi, con un tetto di spesa per la farmaceutica; prevista anche la riduzione delle convenzioni con i privati.
Tagli anche agli enti locali: entro tutto il 2013, meno 1,7 miliardi alle Regioni, 1,5 alle Province, 2,5 miliardi ai Comuni. A proposito di Province, previsto il loro accorpamento, per cercare di dimezzarne il numero, con criteri che terranno conto della popolazione, dell’estensione territoriale, e del numero di comuni.
Non rientra nella spending review, ma è comunque un provvedimento di fondamentale importanza, l’accorpamento degli uffici giudiziari: scompariranno 37 tribunali e 38 procure, accorpati agli uffici maggiori, secondo i criteri oggettivi delineati nel provvedimento emanato, che evita la mannaia per i tribunali delle città capoluogo di provincia e ne salva altri con la “regola del 3” (ossia tre tribunali per ogni Corte d’Appello); soppresse anche le 220 sezioni staccate dei tribunali e gli uffici di 674 Giudici di pace.
Si poteva fare di più? Certamente si, ma, se il decreto approvato (una vera manovra, al di là delle smentite del governo, vista l’entità finanziaria) non subirà stravolgimenti parlamentari, segnerà certamente un primo passo importante verso la riduzione di un “mostro” (la crescita abnorme e fuori controllo della spesa pubblica) che si è molto espanso in questi anni.
Sarà il primo tempo (al di là delle nuove misure di tagli previste per le prossime settimane) di un processo di riforma sulla competitività del Paese che dovrà necessariamente passare per una rilocazione (almeno parziale) delle risorse risparmiate con questo provvedimento.
In altri termini, non tutti i risparmi conseguiti potranno andare a tappare i buchi di bilancio, ma questi, ed auspicabilmente altri risparmi, dovranno in parte essere reinvestiti in infrastrutture materiali (strade, ferrovie, metropolitane e porti), ed immateriali (digitali, come ad esempio la banda larga).
Su queste colonne, all’approvazione della prima manovra di Monti (il c. d. “decreto salva Italia”), sospendevo il giudizio, parlando di stangata, necessitata dall’urgenza di agire in tempi ristrettissimi, ma che si abbatteva soprattutto su ceti medi e popolari, sollecitando riforme vere, che portassero a razionalizzare la spesa e tagliarla, ove necessario, per risparmiare e rilanciare la crescita del Paese. Con questo decreto, si procede nella giusta direzione: un provvedimento che andrà implementato e rafforzato, ma che dimostra il coraggio del governo di muoversi anche su percorsi intricati, nonostante mille barriere, che non finiranno certo oggi: il percorso parlamentare vedrà pressioni enormi sui partiti, per cercare di annacquare i tagli.
Il provvedimento però non potrà essere annacquato: la crisi incalza sempre più, a livello mondiale; e in caso di mancato rispetto dei tagli, servirà una nuova manovra di tasse, il che significherebbe morte certa per le numerose piccole e medie imprese che costituiscono il cuore produttivo del Paese: sarebbe la catastrofe.

 

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