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I numeri del femminicidio in Italia

di Mirko Spadoni

violenza_donne_femminicidioPresentando il decreto alla stampa, il premier Enrico Letta aveva espresso tutta la sua soddisfazione per quanto fatto dal suo esecutivo nella lotta ad una piaga sociale, che ancora non siamo riusciti a debellare del tutto: il femminicidio. “C’era bisogno nel nostro Paese di dare un segno fortissimo, ma – precisava il presidente del Consiglio – anche un cambiamento radicale sul tema. Il governo deve dare un chiarissimo segnale di contrasto e di lotta senza quartiere”.
L’esecutivo ha fatto così quello che poteva: inasprire le pene (introducendo – ad esempio – arresti in flagranza, la querela irrevocabile, aggravanti per coniuge e compagno anche non conviventi) per chi si macchia di un crimine del genere. Eppure, nonostante tutto, gli ultimi recenti episodi di cronaca dimostrano una cosa: in Italia il femminicidio (ovvero “ogni pratica sociale violenta fisicamente o psicologicamente, che attenta all’integrità, allo sviluppo psicofisico, alla salute, alla libertà o alla vita delle donne, col fine di annientare l’identità attraverso l’assoggettamento fisico e/o psicologico”) e il femmicidio (ovvero “tutte le uccisioni di donne avvenute per motivi di genere, quindi a prescindere dallo stato o meno di mogli”) sono dei fenomeni che – purtroppo – continuano a verificarsi.
Nel periodo compreso tra il 2000 e il 2012, sono state uccise oltre 2.000 donne, con una media di 171 all’anno. Mentre nel primo semestre del 2013 sono state 81, di cui il 75% nel contesto familiare o affettivo. I dati riferiti dall’Eures, che in questi anni ha stilato in collaborazione con l’Ansa un quadro generale sui casi di femminicidio in Italia, parlano chiaro: negli ultimi tredici anni – secondo il Rapporto Eures 2013 sull’omicidio volontario in Italia al cui interno è dedicato un capitolo ad hoc – le donne uccise sono state 2.220, di cui il 70,7% (ovvero 1.570 casi) è avvenuto per l’appunto all’interno di un ambiente familiare o delle relazioni affettive. Non assistiamo, quindi, ad un inversione di tendenza, quanto mai auspicabile quando ci troviamo di fronte ad un dramma che coinvolge molte – troppe – donne, senza distinzione di età e appartenenza territoriale.
Leggendo i dati raccolti nella ricerca, emerge che il maggior numero di casi è stato denunciato nelle regioni del Nord Italia (Lombardia in testa con 266 omicidi), dove si conta la metà dei casi: 785, ad essere precisi. Ma se nel Settentrione sono stati commessi il 50,5% dei femminicidi, al Sud – sempre in termini percentuali – se ne sono contati il 31,1% (ovvero 488 casi) e al Centro (297 casi) il 18,9%. La Lombardia è dunque la regione “più a rischio”. Ma se teniamo conto dell’incidenza sulla popolazione femminile il discorso prende una piega decisamente diversa. Perché a quel punto, il Molise diventa la regione dove si contano il maggior numero dei casi: 8,0 femmicidi all’anno ogni 100 mila donne. Seguono la Liguria (6,1), L’Emilia Romagna (5,0), l’Umbria, la Calabria e il Piemonte (4,7) e la Lombardia (4,3). Quasi la metà delle vittime, sostiene la ricerca condotta dall’Eures, è di età compresa tra i 25 anni e i 54 (1.092 casi). Anche se l’incidenza maggiore (23,6%) si riscontra nelle donne over 64.

 

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