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La delicata situazione in Ucraina/3

di Mirko Spadoni

CrimeaLa Crimea ha fatto la sua scelta e Mosca se ne rallegra. I risultati del referendum per la secessione da Kiev sono stati resi noti: il 96,6% degli elettori si è detto favorevole all’unione con la Russia. “Abbiamo – ha commentato il premier della Repubblica autonoma di Crimea Serghei Aksyonov – preso una decisione molto importante, che entrerà nella storia”. Un risultato, quello del referendum, scontato. Inevitabili, invece, le reazioni della comunità internazionale, decisa a non riconoscere il voto di domenica. Dura la reazione del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama (“Contro Mosca c’è un’isolamento internazionale. Nessuno riconosce il referendum in Crimea”) e dell’Unione europea, che – come fatto anche da Washington – ha imposto sanzioni economiche e il congelamento dei beni ai danni di diverse autorità russe ed ucraine. Il presidente ucraino ad interim, Oleksandr Turchynov, ha liquidato il referendum come “una grande farsa”. Nel corso di un suo intervento in Parlamento, Turchynov ha condannato “la prolungata aggressione in Crimea che la Russia sta tentando di nascondere con questa grande farsa che loro chiamano referendum e che non sarà mai riconosciuto né dall’Ucraina né dal mondo civilizzato”. Nella mattinata di lunedì, la Rada ha inoltre approvato – con 275 voti a favore – un fondo di emergenza di 6,7 miliardi di hryvnja (circa 600 milioni di euro) per le spese militari e la mobilitazione dell’esercito e della Guardia Nazionale. Una decisione che può lasciare sorpresi, se si tiene conto che l’intero budget statale non supera i 50 miliardi di dollari l’anno. Da notare come anche molti osservatori internazionali (Keith Darden su foreignaffairs.com) hanno sollevato dubbi sulla legittimità del nuovo Parlamento ucraino. Quest’ultimo non ha infatti seguito la procedura di impeachment contro l’ex presidente Yanukovich, per poi adottare – nuovamente e senza alcuna legge che lo consentisse – il testo costituzionale del 2004, che già nel 2006 fu giudicato incostituzionale dall’Alta Corte ucraina.
All’indomani del referendum e dopo aver nazionalizzato le due aziende energetiche attive nella penisola (la Chornomornaftohaz e la Ukrtransgaz), il Parlamento di Sinferopoli ha annunciato che Kiev non ha più alcun potere sulla penisola, preannunciando inoltre lo scioglimento delle unità militari ucraine presenti sul territorio e stabilendo il passaggio al fuso orario di Mosca.
Al di là delle reazioni internazionali e delle prime decisioni prese dalle autorità crimeane, l’annessione alla Russia dovrebbe, come osservato qualche giorno fa dal premier Aksyonov, richiedere circa un anno. Nel frattempo il Cremlino avrebbe già provveduto ad inviare i primi aiuti: stando a quanto riferito da Aksyonov stesso, il Consiglio federale russo (la camera alta del parlamento russo) ha approvato un pacchetto di aiuti finanziari alla Crimea di 15 miliardi di rubli (all’incirca 295 milioni di euro).
Il referendum sancisce – anzi: sancirebbe – così il ritorno della Crimea alla Russia. Nel 1954, per commemorare il 300esimo anniversario dell’unione tra i due Paesi, l’allora segretario generale del PCUS, Nikita Krusciov, decise di “donare” al popolo ucraino la penisola. Una scelta che passò inosservata all’epoca, ma che ora si dimostra – forse – infelice: il 58% della popolazione (1 milione e 973mila abitanti) è di etnia russa, il 24% ucraina, il 12% è tartara e il resto è composto da altre minoranze. Ma il probabile passaggio/ritorno della Crimea alla Russia potrebbe avere ripercussioni anche a lungo termine: “Nella tentativo di mantenere sotto controllo l’Ucraina orientale, i russi – ammonisce Alexander J. Motyl su foreignaffairs.com – potrebbero accorgersi rapidamente di essere in possesso di province che economicamente non possono sopravvivere senza massicci aiuti economici. Secondo uno studio ucraino, nella prima metà del 2013, Crimea, Donetsk, Kherson, Luhansk, Mykolaiv e Zaporizhzhya hanno ricevuto da Kiev enormi risorse: 22,82 miliardi di grivna (circa 2,5 miliardi di dollari o 90 miliardi di rubli). Moltiplicato per due, il deficit ammonta a 45,64 miliardi di hryvnja (circa 5.000 milioni dollari, o 180 miliardi di rubli)”.
“Nel 2013 – prosegue ancora Motyl – la Crimea ha ospitato 5,9 milioni di turisti, il 25% dei quali provenienti dalla Russia e il 70% dall’Ucraina, i quali probabilmente eviteranno – o sarà loro vietato – di recarsi nella penisola. Le famose spiagge della Crimea potrebbero così andare in rapido declino. E dal momento che il turismo rappresenta la più grande fetta dell’economia della penisola, il tenore di vita potrebbe peggiorare”.
Resta però irrisolto ancora un nodo: il referendum è legittimo a livello internazionale? “Il 5 dicembre 1994 – ricorda su Ispi Edoardo Greppi, professore di Diritto internazionale umanitario e tutela dei diritti umani all’Università di Torino – Stati Uniti, Federazione Russa e Regno Unito hanno firmato a Budapest il Memorandum on Security Assurances, nel quale confermano il loro impegno di rispettare l’indipendenza e la sovranità dell’Ucraina e dei suoi esistenti confini, in conformità con l’Atto finale di Helsinki”.
Firmando l’accordo, gli Stati si impegnavano anche ad astenersi “da pressioni economiche”. “L’impegno assunto 20 anni fa – osserva ancora Greppi – è chiaro, e comporta l’obbligo di rispettare l’indipendenza e la sovranità dell’Ucraina nei suoi confini e, quindi, di non modificarne la consistenza politico territoriale”. “Questa – conclude il professore – era, peraltro, l’essenza delle obbligazioni contenute nell’Atto finale di Helsinki. L’assetto territoriale degli Stati europei è riconosciuto nella configurazione allora esistente, e ogni eventuale modifica deve essere frutto di accordi (e non, quindi, di iniziative unilaterali). Gli aspetti relativi all’assetto politico e costituzionale interno sono questioni che appartengono alla domestic jurisdiction dello Stato, e comportano il divieto di ingerenza”.

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