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La coscienza di Zeman

di Fabio Germani

Il lunedì post-campionato, in genere, si parla di risultati e di classifica. Di gesti atletici, al limite. Di errori arbitrali, al più. A T-Mag, al contrario, abbiamo deciso di parlare di un uomo: Zdenek Zeman.
Su Zeman si è scritto tutto e il contrario di tutto. Noi, nel nostro piccolo, lo abbiamo celebrato due volte (nel rispetto della par condicio abbiamo poi fatto altrettanto con il tecnico della Lazio, Vladimir Petkovic). Zeman è il tipico personaggio con la schiena dritta, di quelli che spaccano le tifoserie, che dividono opinionisti e sportivi, che trasformano il calcio – che pure è una disciplina assai meno complessa – in un credo sacrale. Il 4-3-3 – nell’immaginario zemaniano è l’unico schieramento in grado di garantire una copertura totale del campo di gioco – quale filosofia di vita. Una vita votata all’attacco, alla spasmodica ricerca del gol in più dell’avversario e delle polemiche a distanza: questa è Zemanlandia. Prendere o lasciare. Vie di mezzo non sono ammesse.
Succede che Zeman, dopo anni di purgatorio, torna in auge grazie ad una promozione spettacolo in Serie A con il Pescara dei miracoli. Sembrano tornati gli antichi fasti di Foggia. Se ne accorgono a Roma, piazza che non ha mai dimenticato il boemo e che il boemo non ha mai dimenticato. Dopo una sfilza di no (Montella, Villas Boas, Bielsa), i dirigenti della Roma pensano bene che Zeman sia l’uomo giusto nel posto giusto, l’unico che possa accontentare i tifosi giallorossi dopo l’esperienza nefasta di Luis Enrique. E così è: l’idea di gioco che sposa la spregiudicatezza decantata dalla nuova gestione all’americana da un lato, la capacità di lanciare giovani talentuosi nella mischia dall’altro, sono ingredienti che sì, fanno di Zeman l’uomo giusto. Unica pecca: si prenderanno tanti gol. Ma la squadra è forte e saprà ogni volta reagire. E gli abbonamenti in più, vuoi mettere?
La retorica anti-zemaniana vuole il tecnico di Boemia incapace di vincere proprio a causa del suo calcio, che lui millanta essere il migliore.
La retorica zemaniana vuole il tecnico di Boemia vittima della sua purezza che lo ha tenuto distante per l’intera carriera dai club che contano.
Chi sosteneva la possibilità di un atto di abiura da parte di Zeman, si è dovuto presto ricredere. Molti gol fatti, altrettanti subiti. Posizione di metà classifica per la Roma e il resto è storia delle ultime ore.
Zdenek è uomo di campo, ma appartiene ad un’altra epoca. Il suo auspicio era sempre stato quello di giocare un calcio lontano dalle farmacie e dagli uffici finanziari. Le vicissitudini di questi anni – società in difficotà economiche, in Italia soprattutto, nonché l’ingresso nel mondo del pallone di magnati russi ed arabi – dimostrano quanto il pensiero zemaniano fosse utopistico. La Roma, con il recente passaggio di proprietà, ha intrapreso un percorso volto a sviluppare un modello di business nuovo, tutto marketing e partenership, che poco si amalgama con il credo “fatica, corsa e gradoni” di Zeman e dei suoi adepti.
Altro che tournée per esportare il marchio AS Roma negli States: Zeman è il retaggio di uno sport che non c’è più, che nella sua banalità ha tentato invano di rinnovarsi vista la decadenza del nostro campionato.
Zeman era l’uomo sbagliato nel posto sbagliato. E nel calcio non c’è nulla di sacro, tranne la fede dei tifosi.

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