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Usa 2024. Il quadro economico degli Stati Uniti

L’economia americana corre oltre le attese, migliora il mercato del lavoro e accelerano i consumi. Eppure i cittadini rimangono pessimisti (ma meno di alcuni mesi fa)

di Fabio Germani

Spesso si dice che l’economia è l’unica materia davvero in grado di condizionare l’esito delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Non è un modo affrettato di liquidare la questione, è un dato di fatto. Eppure negli ultimi anni – per una coincidenza non del tutto casuale da quando Donald Trump è protagonista delle vicende politiche americane – altri temi sono diventati prioritari tra i cittadini. Del resto se gli Stati Uniti ci sembrano da questa parte dell’oceano un paese diviso su tutto, o quasi, è perché gli argomenti di discussione e di attrito (se non vere e proprie guerre culturali) di certo non mancano. Dall’aborto alle disuguaglianze, dai rischi percepiti per la tenuta democratica ai libri di testo che si possono o non possono adottare nelle scuole, fino ai flussi migratori e alla politica estera – al centro del dibattito pubblico a causa della crisi mediorientale –, il dialogo è alquanto acceso. Non a caso il presidente Joe Biden sta concentrando la sua campagna per la rielezione sui temi più critici (appunto l’aborto, ad esempio, dopo la sentenza della Corte Suprema del giugno 2022 che ha ribaltato la Roe v. Wade) e ovviamente sull’economia, in netto miglioramento rispetto al lascito della precedente amministrazione, colpita dagli effetti devastanti della pandemia. In questo senso Biden – che dal South Carolina ha cominciato a dare un’impronta decisa alla sua campagna – sta promuovendo la sua ricetta economica, la cosiddetta Bidenomics. In generale, dunque, le presidenziali 2024 impongono a maggior ragione una serie di riflessioni su diversi spunti. Cercheremo di affrontare i più stringenti nei mesi che ci separano dal voto di novembre, partendo adesso proprio dall’economia

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Il quadro economico degli Stati Uniti, dicevamo, è ora migliore di quanto fosse ad insediamento di Biden alla Casa Bianca appena compiuto, falcidiato com’era dall’emergenza sanitaria. Partiamo da qualche dato. Il Pil degli Stati Uniti nell’ultimo trimestre dello scorso anno è cresciuto del 3,3%, in rallentamento dal 4,9% del periodo precedente, pur segnando un +3,1% tendenziale. In generale la crescita stimata per l’intero 2023 è del 2,5%, in aumento dall’1,9% registrato nel 2022. La crescita è stata sostenuta da un mercato del lavoro vivace e dal raffreddamento dell’inflazione. A dicembre 2023 l’occupazione è aumentata di 216 mila unità, con il tasso di disoccupazione che si è mantenuto su valori stabili al 3,7%. Questo mese, invece, sono stati 353 mila i posti di lavoro creati, al di sopra delle aspettative. La dinamicità del mercato del lavoro statunitense da tempo interessa tutti i segmenti demografici, pur mostrando ancora qua e là discrepanze reddituali e divari occupazionali (i neri e i latini continuano ad essere più svantaggiati dei bianchi, mentre il tasso di disoccupazione è più basso tra gli asiatici). A dicembre i prezzi al consumo sono tornati a crescere leggermente (+0,3% su base mensile, +3,4% su base annuale) – per questo la Federal Reserve sta lasciando invariati i tassi di interesse da luglio dell’anno scorso –, ma nel complesso sono tornati su valori accettabili rispetto all’impennata del 2022. L’inflazione resta comunque lo “spauracchio” dei cittadini americani, i quali nei momenti peggiori – pur nel contesto di crescita – hanno potuto osservare un’erosione dei redditi, anche qui a scapito principalmente delle porzioni di popolazione che presentano ritardi strutturali. Il mercato immobiliare mostra andamenti in chiaroscuro.

Come suggerisce Axios, nel 2023 l’economia americana ha accelerato molto più delle altre tra quelle avanzate e i trend inducono a credere che sarà così anche nel 2024. Tuttavia la percezione degli americani è opaca e riflette un pessimismo al momento meno marcato, ma sempre evidente. Se a dicembre, secondo una rilevazione CNBC, la stragrande maggioranza degli statunitensi dichiarava di avere una visione negativa sullo stato dell’economia, a inizio 2024 le prospettive sono più ottimiste. Stando al Pew Research Center, il 28% degli intervistati valuta le condizioni economiche “eccellenti o buone”, un aumento di nove punti percentuali rispetto allo scorso aprile, mentre il 31% le vede in cattiva luce e circa quattro su dieci (41%) le giudicano discrete. Il 26% sostiene che l’economia starà meglio tra un anno, una quota più alta rispetto al 17% di aprile 2023. Ma il fatto che rimane impresso è che nonostante l’atteggiamento meno orientato al disfattismo, gli americani ancora manifestano una scarsa fiducia rispetto all’arco di tempo che va dal 2018 all’inizio del 2020, quando presidente era Trump e il rischio coronavirus era avvertito come qualcosa di “distante”. A preoccuparli non poco, si legge nello studio, sono i prezzi dei prodotti alimentari e dei beni di consumo (72%) e anche il costo degli alloggi (64%).

Forse attribuire tutti i meriti del buono stato di salute dell’economia americana all’amministrazione Biden è troppo. Di sicuro aiutano il ciclo più favorevole e la ripresa del commercio mondiale, d’altro canto non si può nemmeno escludere che il massiccio impegno del governo federale non abbia portato con sé benefici (e qualche stortura) di medio e lungo periodo. L’ambiziosissimo piano Build Back Better promosso dall’amministrazione democratica fin dal 2021 ha previsto una serie di provvedimenti volti a far ripartire l’attività e l’occupazione dopo il brusco stop pandemico, dall’America Rescue Plan (il programma di soccorso vero e proprio post-emergenza) all’American Families Plan, passando per l’American Jobs Plan, un’imponente misura la cui finalità comprende, tra le varie cose, l’ammodernamento (necessario in molti casi) delle infrastrutture americane. Se da un lato questi provvedimenti sono serviti a riprendere il cammino virtuoso degli Stati Uniti interrotto dalle cause di forza maggiore del 2020, dall’altro hanno contribuito, a detta di numerosi analisti, ad innalzare i prezzi. In altre parole, la pioggia di sussidi, il mercato del lavoro in espansione e i salari in rialzo (più il caro energia) hanno speditamente alimentato la domanda, innescando perciò la spirale negativa. La risposta del presidente Biden, allora, è stato l’Inflation Reduction Act (2022), una legge che interviene in particolare sul tetto ai prezzi dei farmaci e sull’efficienza energetica (ingente l’investimento nella lotta al cambiamento climatico, tema cruciale all’interno dell’agenda dem).

Le circostanze che si sono susseguite in questi anni, insomma, sono alla base dello scollamento tra realtà e percezione dei cittadini sulle questioni di natura economica. C’è chi sostiene che l’amministrazione Biden non sia stata abbastanza abile, almeno finora, nella comunicazione dei successi ottenuti, anche perché costretta a rincorrere le crisi, tra un conflitto e l’altro sparsi per il mondo. Anche la polarizzazione politica registrata in questi anni influenza i giudizi delle persone: i repubblicani sono molto più propensi dei democratici ad affermare che le cose vanno peggio di prima. È pur vero, va sottolineato, che l’economia statunitense correva già durante l’amministrazione Trump, al netto di alcune scelte controverse, tipo la riforma fiscale e la guerra dei dazi con la Cina. Il cambio di marcia dell’attuale inquilino della Casa Bianca è arrivato in risposta alle difficoltà sopraggiunte con la pandemia, quindi in un momento storico in cui era opportuno mettere soluzioni rapide sul tavolo. Le stesse che ora Biden proverà a capitalizzare in campagna elettorale, senza perdere di vista le imboscate dei repubblicani che potranno giungere da altri fronti, come le tensioni al confine tra Texas e Messico. Importante, infine, il recente appoggio che il presidente ha ricevuto dal sindacato United Auto Workers – con possibili ricadute nel Michigan, Stato in bilico dove si concentra l’industria automobilistica che nel 2020 Biden strappò a Trump con un lieve distacco –, a conclusione di una stagione di scioperi che ha permesso ai lavoratori del settore di ottenere contratti a condizioni più vantaggiose.

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