Giovani e donne le categorie più colpite dalla crisi
In generale il peso della pandemia si fa sentire soprattutto tra i lavoratori con tipologie di contratto a termine, osservano diversi studi
di Redazione
Chi sta pagando di più la crisi derivata dalla pandemia? Perlopiù giovani e donne e in generale le persone con contratti di lavoro a termine. Secondo i nuovi dati dell’Eurostat, nel secondo trimestre del 2020 erano 19,2 milioni le persone in Europa impiegate con un contratto a tempo determinato, rispetto ai 21,5 milioni del primo trimestre dell’anno. Stando ai dati, la diminuzione significativa che si evidenzia tra i lavoratori a tempo determinato, corrisponde all’80,5% della diminuzione totale dell’occupazione per la fascia di età tra i 20 e i 64 anni in Europa. In particolar modo, però, a subire maggiormente gli effetti negativi della pandemia sul mercato del lavoro sono stati i giovani occupati con un contratto a termine: dal quarto trimestre dello scorso anno, al secondo trimestre del 2020, la quota di contratti a tempo determinato si è ridotta dal 46,2% al 42,7% per i giovani tra i 15 e i 24 anni, mentre in media è diminuita solo dall’11,6% al 10,2% per la popolazione di età compresa tra 20 e i 64.
Il focus a livello regionale mostra che la diminuzione dei contratti a termine è stata una conseguenza diffusa tra tutti i paesi dell’Unione europea, ad eccezione di Lituania e Danimarca. Secondo l’Eurostat, le contrazioni di contratti a termine più significative sono state individuate in Lettonia, Bulgaria, Malta, Slovenia, Estonia, Grecia e Slovacchia, tutti paesi dove la diminuzione ha superato il 20%.
Per quanto riguarda l’Italia, la situazione che descrive il peso della pandemia per i lavoratori precari è testimoniata anche da una recente analisi della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro. Secondo lo studio, a subire maggiormente le conseguenze della crisi sono le donne con contratti a termine. In generale, tra il secondo trimestre del 2019 e lo stesso periodo del 2020, sono state rilevate 470 mila occupate in meno, per un calo nell’anno del 4,7%, ma a segnare la contrazione più evidente e consistente è stata la componente di lavoratrici a termine, che ha registrato 327 mila unità in meno, corrispondenti ad un calo del 22,7%.
L’analisi suggerisce che la componente femminile è stata quella che ha pagato di più il prezzo della crisi perché tradizionalmente impiegata nel settore dei servizi, che maggiormente hanno sofferto la pandemia e le conseguenti limitazioni. In linea con quanto emerso dai dati Eurostat, un’altra analisi, sempre della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, calcolando il costo in termini di lavoro e occupazione delle restrizioni introdotto con il Dpcm del 24 ottobre, arriva alla conclusione che le limitazioni colpiscono maggiormente i giovani e i precari.
Infatti, i settori e le attività chiuse dal Dpcm, sono gli stessi caratterizzati da occupazione giovanile – il 41,3% ha meno di 35 anni – e con percentuali di lavoratori a tempo determinato alte rispetto alla media nazionale: in questi comparti solo il 42,7% degli occupati ha un contratto di tipo permanente, contro una media nazionale del 64,1%, mentre il 25% ha un’occupazione a termine, a fronte della media italiana dell’11,7% con la stessa tipologia di contratto.
Nello specifico, la ristorazione a fronte del 45,8% di occupati a tempo indeterminato, conta il 25,3% di lavoratori a termine, nello sport il 22% ha un contratto a tempo indeterminato e l’11,5% determinato – la restante parte sono lavoratori autonomi -, mentre nell’ambito dello spettacolo, gli occupati sono quasi equamente tripartiti tra lavoratori autonomi, 37,7%, a tempo determinato, 31,2% e indeterminato, 31,1%.
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