Usa 2020. Una partita ancora incerta | T-Mag | il magazine di Tecnè

Usa 2020. Una partita ancora incerta

Chi trarrà vantaggio dalle proteste? «Sicuramente Trump». Ma tanti sono i nodi da sciogliere, dalla crisi sanitaria ed economica alla politica estera. Intervista a Marco Sioli, professore di Storia e istituzioni delle Americhe all’Università degli Studi di Milano

di Fabio Germani

Di ogni elezione americana si dice che sia «la più importante di sempre». Ci sono ragioni storiche e politiche che possono spingere le considerazioni a tanto. Stavolta, forse, un pizzico di verità c’è. L’emergenza sanitaria globale (uno scenario del tutto inedito), la crisi economica che ne sta derivando, le tensioni razziali, un nuovo approccio alla politica estera. Gli ingredienti non mancano. Il 3 novembre si sfideranno due visioni degli Stati Uniti e del mondo agli antipodi come in poche altre occasioni è stato possibile osservare. Due narrazioni a tratti già ben delineate, in quanto dei due candidati si conosce tutto o quasi: un presidente uscente – Donald Trump – spesso burrascoso, un ex vicepresidente – Joe Biden – più conciliante. Cosa dovremmo aspettarci, allora? T-Mag ne ha parlato con Marco Sioli, professore di Storia e istituzioni delle Americhe all’Università degli Studi di Milano, partendo proprio dalle proteste di Black Lives Matter.

Professor Sioli, è da maggio che assistiamo ad una lunga serie di proteste negli Stati Uniti, dopo la morte di George Floyd a Minneapolis, di movimenti come Black Lives Matter, con criticità rilevate soprattutto in alcune metropoli. Circostanze di questo tipo non sono nuove, molte sono avvenute già sotto l’amministrazione Obama. Quali ragioni di fondo sono alla base delle proteste e davvero è un’illusione immaginare in America una società post-razziale? 

Come ho scritto nel mio ultimo intervento online “le proteste che sono seguite all’uccisione il 25 maggio dell’afroamericano George Floyd per mano, o meglio per un ginocchio, di un poliziotto bianco nel corso di un arresto a Minneapolis, hanno mostrato il volto di una folla spesso pacifica ma in alcune occasioni furiosa che ha causato l’incendio della stazione di polizia nella città del Minnesota e il saccheggio di numerosi negozi”. Il tipo di omicidio particolarmente odioso, che ha portato Floyd a pronunciare più volte la frase “non riesco a respirare”, ci riporta ai linciaggi negli Stati del Sud nell’epoca della segregazione quando i neri finivano strangolati appesi a un cappio sugli alberi: gli strange fruits cantati da Billie Holyday. Ecco dunque ancora una volta il fuoco a difendere l’umanità negata dei neri. Un fuoco che non aveva arso in modo così distruttivo nell’epoca di Obama, anche se i casi di uccisioni di neri inermi da parte della polizia si erano verificati durante la sua amministrazione. La protesta pacifica ha visto ancora una volta in azione il movimento Black Lives Matter, fondato proprio nel 2013, sotto lo sguardo attento del primo presidente afroamericano. Scopo dell’organizzazione quello di sradicare il suprematismo bianco e di costruire dei poteri locali per intervenire nelle violenze inflitte contro le comunità nere dalla polizia e dai vigilantes. Un compito arduo che si deve confrontare con le frange violente della protesta afroamericana che alimenta a sua volta la richiesta dei cittadini bianchi di una maggiore protezione e della retorica di legge e ordine di cui Trump si fa interprete.

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La retorica “law and order” del presidente Trump, esattamente, che molti giudicano divisiva, ma la stessa accusa viene rivolta a Biden, le cui posizioni, secondo i rivali politici, sarebbero troppo accondiscendenti nei riguardi di chi commette atti vandalici o approfitta della situazione caotica. Chi dei due candidati potrebbe trarre vantaggio dalle proteste?

Sicuramente Trump. Il fatto che la protesta si sia allargata al Wisconsin dopo il caso di Jacob Blake, l’afroamericano colpito alle spalle il 24 agosto con sette colpi di pistola dalla polizia di Kenosha e rimasto paralizzato, è esemplificativo. Minnesota e Wisconsin sono stati in bilico nella corsa elettorale di novembre. Tendenzialmente liberal nella definizione delle amministrazioni locali, queste si devono confrontare con la protesta afroamericana e il fuoco che ne segue e che distrugge stazioni di polizia e negozi. Non ha perso tempo Trump a recarsi a Kenosha, nonostante il governatore del Wisconsin, il democratico Tony Evers, gli avesse chiesto formalmente di evitare la visita per non alimentare lo scontro danneggiando il loro lavoro per superare le divisioni. Le sue parole sono state decise: per lui i manifestanti erano parte di un “terrorismo interno,” gli agenti “onesti lavoratori dello Stato” e la città devastata da proteste “anti-americane”. Le sue immagini diffuse mentre si avventura tra i negozi distrutti hanno fatto il giro del mondo grazie alla CNN, mentre di scarso interesse è stata la visita successiva di Joe Biden che ha incontrato i familiari di Jacob Blake e accusato Trump di soffiare sul fuoco alimentando l’odio e il razzismo.

L’America è comunque un paese in trasformazione. Secondo alcuni commentatori, nel giro di qualche anno, la geografia politica degli Stati Uniti sarà destinata a cambiare. Un po’ c’entrano le recenti conquiste sociali, un po’ la demografia. Si guarda molto al Texas, Stato da sempre conservatore, ma che al suo interno presenta diversi puntini blu, che sono le città amministrate da sindaci dem. È lecito aspettarsi questo tipo di cambiamenti?

Come ho detto, le città amministrate da sindaci democratici nulla possono rispetto alle proteste violente che generano una richiesta di un maggiore controllo poliziesco. Mi ricordo i tempi in cui le grandi città americane come Chicago o Detroit, negli anni Ottanta venivano affidate a sindaci afroamericani per gestire il disagio sociale. Alla fine l’elettorato, alle elezioni nazionali, continuava a votare Ronald Reagan.

Sondaggi alla mano, anche stavolta, come già nel 2016, i Battleground States, saranno decisivi. Quali Stati, in particolare, andranno tenuti d’occhio?

Nelle scorse elezioni i tre Stati in bilico furono il Wisconsin, appunto, il Michigan e la Pennsylvania. Stati che hanno spostato il voto su Trump decretandone la vittoria. Non penso che il Texas sia mai stato in bilico: rimarrà repubblicano. Guarderei piuttosto la Florida come Stato conteso, ma considererei il Wisconsin, dopo gli episodi di Kenosha e l’abilità con cui il presidente ha gestito magistralmente la comunicazione politica, uno Stato pro-Trump. Lo stesso potrebbe valere per il Minnesota, che nelle scorse elezioni aveva appoggiato Hillary Clinton.

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Sebbene Biden mantenga un vantaggio tutto sommato ancora evidente, la partita rimane incerta: impossibile fare previsioni oggi sull’esito elettorale del 3 novembre. Gestione della pandemia, crisi economica, proteste, politica estera: quale sarà il tema che potrà condizionare maggiormente le scelte di voto?

Come lei dice, i temi sul tappeto sono molti e la partita incerta. Le proteste degli afroamericani sono un problema marginale per un elettorato bianco molto più preoccupato oggi dalla pandemia che, anche se gestita malamente dal presidente, potrebbe scivolare presto nel dimenticatoio. L’economia sta mostrando decisi segni di ripresa e la politica estera è sempre più sulle prime pagine dei giornali. L’accordo di pace tra Israele e gli Emirati Arabi e, più decisamente, il confronto con la Cina definito da molti una nuova Guerra fredda.     

@fabiogermani

Le puntate precedenti
Usa 2020. L’importanza degli Stati in bilico
Usa 2020. La pandemia preoccupa gli elettori
Usa 2020. L’America a pochi mesi dal voto
Usa 2020. Da dove vengono le proteste
Usa 2020. L’emergenza cambierà le regole del gioco?
Usa 2020. L’emergenza sanitaria e le presidenziali
Usa 2020. Biden vince ancora (ma la notizia è un’altra)

 

4 Commenti per “Usa 2020. Una partita ancora incerta”

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